Le chiacchiere stanno a zero. La disoccupazione e il disagio no [di Andrea Sotgiu]
Concordo con Silvano Tagliagambe, Carlo Melis, Tore Corveddu che, nella diversità di approccio, si interrogano sulla capacità di comprensione del centro sinistra su quanto è accaduto in Sardegna nell’ultima tornata elettorale e sulle ricadute nella geografia politica. Concordo soprattutto sulla sostanziale incapacità di governo che l’attuale maggioranza palesa in Regione. Non è esagerato dire che alcuni assessorati funzionerebbero meglio se fossero affidati a un funzionario che sbrighi l’ordinaria amministrazione. Comunicazione fuori dalle righe, fotine, slogan accentuano la poca sostanza, in continuità con il governo Cappellacci dei momenti peggiori. La situazione è politicamente grave ove si pensi che, in campagna elettorale, il segretario regionale del Pd e il presidente della Regione, entrambi in politica da più di due lustri e ormai veterani, ci hanno messo la faccia ma, a spoglio ultimato, non si sono assunti la responsabilità dei risultati. Fuga dal voto e sconfitta del Pd significano che nuovi gruppi dirigenti hanno fallito. E’ nei fatti. Verso una sigla che abbiamo voluto come sintesi di due tradizioni si sta sviluppando un’ostilità più accesa di quella verso il Partito socialista o la Democrazia cristiana, ai tempi delle monetine lanciate a Craxi e di mani pulite. Un rifiuto così determinato preoccupa perché la situazione è peggiorata sul fronte economico, culturale e morale, tanto più che neanche la destra coglie la crisi di partecipazione al voto, tra le più alte in Italia, ed il messaggio dei sardi. Distanza, sfiducia, insofferenza verso la classe politica se degli sconosciuti alla vita politica – tranne per Tempio – hanno rigettato i potentati che schernivano i dilettanti che chiedevano fiducia e che l’hanno avuta in forme travolgenti. A Quartu poi familismo ed un esplicito accordo con la destra hanno premiato – stante la partecipazione insignificante al ballottaggio – uno schieramento che in spregio del ridicolo continua a definirsi di centro-sinistra e che un tempo avremo visto come avversario. Significa che in Sardegna il tasso di autoreferenzialità dell’attuale classe dirigente del centro-sinistra è esponenziale rispetto al resto d’Italia. Una controprova? Nelle recenti schermaglie della maggioranza lo spettacolo pervenuto all’opinione pubblica è che nessuno avrebbe perso; che il partito di maggioranza raccoglierà le istanze di movimenti; che quelli che hanno vinto comunque sono nostri. Peccato che la campagna elettorale fosse contro di loro. Che strano Pd del chi vince e comanda bisogna cooptarlo dovunque si trovi. Che rimpianto per un partito di gente vera. Quella di Berlinguer con gruppi dirigenti in carne e ossa. Sembrano appartenere ad una fase mitica, al di la di limiti e di errori che i migliori si riconoscevano quando sbagliavano. Nulla rispetto alla spregiudicatezza, alla disinvoltura, alla distanza dai bisogni reali di oggi. Si legge che è in programma per il prossimo 13 luglio il meeting del centrosinistra su agenda e rimpasto della Giunta regionale. Anzi verifica perché, ha commentato il segretario regionale del Pd: rimpasto mi ricorda la pizza. Sarà comunque l’occasione, per i partiti della maggioranza, di fare un bilancio delle azioni del governo regionale sedici mesi dopo il suo insediamento e di discutere quelle da portare avanti nel proseguo della legislatura. Si tratterà di una verifica politica che riguarderà i singoli assessorati e quindi i singoli assessori e la loro sostituzione? Non lo sappiamo. Temi di grande interesse per la coalizione vistosamente ammaccata. Meno per i sardi che, più che ad un tagliando politico, sono interessati ad un riscontro degli impegni assunti da Francesco Pigliaru in campagna elettorale e ribaditi nelle dichiarazioni programmatiche dell’aprile del 2014 da presidente di tutti i sardi con la missione di concentrare le energie sui problemi della gente. Pur nella consapevolezza che Ci vorranno ancora sacrifici per far ripartire la Sardegna. Ma il primo a dover fare questo è il ceto politico, del quale anche io oggi faccio parte. Dobbiamo dimostrare che la politica non arricchisce nessuno, se non di valori. Come dire che le chiacchiere stanno a zero. La disoccupazione e il disagio no.
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