Piazza Palazzo: una ferita aperta [di Carla Deplano]
Penso che la Piazza Palazzo di Cagliari, che ha strutturato le relazioni tra Stato, Chiesa e Municipalità, debba necessariamente continuare a dar senso ai luoghi intrisi di storia, in cui si è sviluppata l’identità di quella regione che ha dato vita al Regno d’Italia. Occorre lavorare per preservare la memoria delle sedimentazioni della storia degli uomini e delle architetture stratificate, per consentire alle nuove generazioni la comprensione delle ragioni culturali, sociali ed economiche che hanno costruito attraverso i secoli una comunità fino a poco tempo fa consapevole del proprio ruolo politico regionale. Bisogna andare a ritroso nel tempo per recuperare il senso dei luoghi che hanno rappresentato il cuore pulsante della città storica: la Platea Communis (attuale Piazza Palazzo) e l’attigua Plazuela (Piazzetta Carlo Alberto). Anche se prima di tutto mi piace ricordare qualche suggestione archeologica che rimanda a tempi ancora più antichi. In seguito al rinvenimento di alcune sfingi effettuato da Georg Ebers nel sottosuolo dirimpetto alla Cattedrale, Gennaro Pesce ipotizza la presenza di un Iseo nel bel mezzo del Castello. Proposta ripresa dal Barrecca, con l’avvallo degli esempi di Sulci e Tharros in cui – secondo una prassi usuale nel mondo antico, semitico o indoeuropeo, appare documentata all’interno dell’acropoli un’area sacra pertinente ad un tempio dedicato durante l’Impero romano ad una divinità e con tutta probabilità a Iside, in virtù dell’allora diffusa moda egittizzante. Cisterne, cippi funerari e materiali ceramici frammentari pertinenti forse alla fine della fase punica o all’età romana repubblicana forniscono sicuramente suggestivi e affascinanti spunti di riflessione senza confortare, peraltro, in merito ad una ricostruzione topografica sicura.Unico dato certo è la creazione, a partire dal 1217, del borgo fortificato pisano inquadrabile nell’ambito di una diffusa rinascita economica e demografica. Nei primi anni del Duecento in tutte le città principali della Toscana matura l’evoluzione del palazzo e della piazza pubblica, sempre più collegati in un unico spazio urbano esaltante l’autonomia cittadina e riproducente in simbolo gli organi essenziali della città. Negli stessi anni la medesima situazione è attestata a Cagliari, dove viene pianificato un assetto urbanistico configurato nella situazione moderna con un centro cittadino costituito da una piazza principale. In origine, l’attuale Piazza Carlo Alberto costituisce un tutt’uno con la Piazza del Comune; separata in seguito dalla parte alta tramite un muro ed una gradinata, assume il nome spagnolo di Plazuela che presso il popolino si mantiene tutt’oggi con la voce dialettale Prazzita. Nata dalla fusione di tre spazi articolati di livelli differenti, la piazza del Comune rappresenta l’elemento di condensazione, il centro delle più importanti funzioni urbane del passato, la presenza stabilizzatrice del baricentro storico. La Platea Communis, conosciuta con questo nome fin dal 1217, come risulta da un atto di vendita conservato nella Primaziale di Pisa, deve la sua ubicazione alla disposizione delle abitazioni e, viceversa, controlla le espansioni equilibrandole. E’ il luogo degli incontri commerciali, politici, religiosi tra i cittadini e risponde alle esigenze dei singoli in relazione alle relative distanze dal centro.C’è un nesso particolarmente evidente tra la creazione della piazza e la costituzione dei palazzi di pubblica utilità e rappresentanza. E’ soprattutto con gli edifici sedi delle magistrature e destinati alle riunioni dei propri organi consultivi e legislativi che il Comune esprime la consapevolezza di una comunità sostenuta dall’accresciuta floridezza economica. Tra la metà del XII ed il XIII secolo si assiste ovunque alla rapida ascesa della classe commerciale ed artigiana e al rinsaldarsi delle associazioni politiche cittadine, capaci di contrastare il potere dei nobili e del vescovo. Seguendo questa dinamica sociale, si concentra in uno spazio pubblico una serie di edifici che rappresentano i fondamentali organi della vita urbana. La piazza, nel cui spazio antistante deve con ogni probabilità tenersi il mercato dei cereali, appare dunque corredata da tutti gli edifici caratteristici dell’età comunale, espressione del potere religioso e di quello civile, la cui summa si traduce urbanisticamente con l’erezione dell’Episcopio, della Cattedrale e del Palazzo civico affiancati. Sulla Platea medievale prospettano il Palazzo dei Castellani, in cui hanno luogo gli acquisti e le contrattazioni commerciali, e la Casa comunale. Il primo risulta ubicato, secondo i documenti duecenteschi, là dove oggi grosso modo insiste il Palazzo Regio. La Casa comunale, invece, insiste sul lato meridionale della Platea perpendicolarmente alla Cattedrale. Attestata originariamente in un documento del 1217 e appartenuta a Jacopo Comainone, facoltoso cittadino pisano di cui resta il ricordo in un atto del 1239, è una delle più appariscenti del Castello e in seguito all’occupazione della rocca da parte dei Genovesi nel 1256 diventa l’abitazione del Giudice Chiano. L’edificio, in cui viene successivamente incorporata una “loggia reale”, riveste ancora una certa importanza all’inizio del Trecento, quando viene destinato a sede della Curia del Castello. In epoca aragonese ospita lo Stamento reale e nel XVI secolo quello militare. Sul prospetto frontale, frutto di un rifacimento settecentesco in stile barocchetto piemontese, il portone d’ingresso appare tuttora sormontato dalla lapide commemorativa della visita effettuata dall’Imperatore Carlo V nel 1535. Lo stabile, non casualmente conosciuto con il significativo nome di Palazzo di città, mantiene immutata la sua vocazione municipale ufficiale dal medioevo fino al 1906, quando al suo interno viene ospitato il vecchio Conservatorio di Musica.E sempre nella Platea Comunis, sotto il Palazzo dei Castellani si affaccia sulla ruga Marinariorum (attuale Via Cannelles) la Curia, in cui ha luogo il tribunale (1320) e risiedono i Castellani ed il Giudice (1322).Sebbene l’impianto morfologico medievale ad andamento quadrangolare caratterizzi tuttora il circuito murario del Castello, l’attuale conformazione della Piazza Palazzo è tutto sommato abbastanza recente e risente dei diradamenti che sotto i colpi del “piccone rinnovatore” portano alla cancellazione, nel 1912, del Palazzo dell’Intendenza di Finanza situato proprio di fronte al Palazzo regio. Il diradamento successivo dovuto da una parte ai bombardamenti del ’43 – che riportano in luce il vicolo de Su Carrilloni – e dall’altra agli sventramenti del ‘72 per opera del Genio Civile che cancellano il Palazzo di S. Placido determina, quindi, un’inusitata apertura prospettica e panoramica sul sottostante quartiere di Villanova e la successiva espansione urbanistica sul versante orientale. Nell’ambito dei tanto attesi e finalmente realizzati restauri del Palazzo regio prima e del Palazzo di città poi, l’auspicato intervento di recupero, valorizzazione e rifunzionalizzazione dello spazio urbano di pertinenza non viene contemplato. Risultato: ancora oggi Piazza Palazzo appare snaturata e umiliata da un parcheggio neanche a dirlo inutile, data la presenza di quello sottostante accessibile dal Viale Regina Elena e quasi sempre semideserto. Mi chiedo se in una città degna di questo nome il nodo nevralgico del centro storico possa essere ancora stuprato dalle lamiere delle autovetture. Che oltretutto nascondono il disegno decorativo in granito e trachite rossa della pavimentazione del 1915 coeva alla messa in opera dei binari delle tranvie elettriche. Si tratta di uno spettacolo desolante che ricorda, più che altro, le vecchie foto dei libri d’arte e delle riviste turistiche degli anni ’60-’70-’80 in cui i centri storici delle città erano invasi dalle auto. Chi non ricorda le piazze toscane con i monumenti rinascimentali offuscati dalle macchine o il Colosseo in mezzo ad un fiume caotico di mezzi di trasporto d’ogni sorta, isolato come una grande un’aiuola spartitraffico? L’area polifunzionale di Piazza Palazzo attende una significativa rivitalizzazione che renda qualitativamente competitivo lo spazio di relazione, la fruibilità dei beni culturali e dei servizi per il tempo libero conformemente alle esigenze contemporanee di confort e attrattiva e nel rispetto della memoria storica. Il rischio maggiore per il centro storico è proprio la perdita del significato di contesto in cui sono sedimentati valori collettivi, la labilità dei rapporti che la comunità ha progressivamente istituito con il proprio ambito di appartenenza, al punto che i valori identitari di una comunità non risultano più identificabili con un luogo. Secondo una dinamica inversamente proporzionale, all’esodo della popolazione locale e all’invecchiamento di quella ridotta fascia di abitanti di più lunga durata, si somma la presenza temporanea di una popolazione di passaggio dall’identità culturale composta di molteplici elementi ed estranea al vissuto stratificato nel tempo e nella memoria collettiva, che spesso alimenta il processo di perdita del patrimonio di valori locali consolidati comunemente intesi e propri della città di pietra. In questo senso il centro storico perde progressivamente la sua connotazione primaria di luogo, di spazio delimitato, caratterizzato da preesistenze, tracce evidenti delle diverse facies culturali susseguitesi nel tempo, divenendo esso stesso, paradossalmente, una sorta di periferia centrale nella città in cui il degrado fisico ed ambientale si traduce in termini di carenze strutturali e di assuefazione allo stesso degrado. La città è storia, linguaggio, fonte perenne di informazioni sempre rinnovate: in una parola è cultura. La città è anche libertà, se si realizza la possibilità per i suoi abitanti dell’ appropriazione del tempo e dello spazio; diversamente è costrizione, città morta, monumento fossilizzato. In tal caso l’uomo si trova ad essere incapsulato nello spazio come se fosse un oggetto, privato della possibilità di instaurare un valido rapporto con lo spazio vissuto che tenga conto dei suoi bisogni prossemici; mentre lo spazio è una dimensione esistenziale, una relazione tra uomo ed ambiente. In questo senso, il camminare rappresenta la prima forma di appropriazione che permette all’uomo di trasformare uno spazio in luogo. Piazza Palazzo, il vuoto adiacente e la piazzetta Carlo Alberto presentano relazioni e livelli di complessità urbana rispetto al sistema di preesistenze storiche, monumentali e archeologiche che sollecitano un intervento integrato tra nuove strutture, spazio pubblico e costruito esistente in grado di restituire l’originaria vocazione di luogo elettivo del vivere associato. Una volta pedonalizzata l’area, la possibilità di offrire la qualità di servizi agli abitanti del quartiere e ai numerosi utenti esterni di passaggio e allo sbando totale potrebbe rafforzare la rappresentatività della città in quest’area strategica. Penso, banalmente, ad un intervento con un carattere riconoscibile e reversibile, compatibile con il binomio antico-innovazione, che preveda l’impiego di piccole tensostrutture di pregio e assai poco impattanti nelle versioni più semplici composte da elementi tesi e con reti di cavi, oppure in quelle più articolate che contemplino l’uso di membrane continue o discontinue. La tutela e il riuso della città antica, insieme alla necessaria reinterpretazione del suo ruolo si configura come il punto di partenza per un intervento di microscala che promuova condizioni sostenibili atte a garantire la qualità urbana in opposizione ad un destino di obsolescenza, degrado e abbandono, ripristinando ed rinnovando relazioni e rapporti tra luoghi, edifici, abitanti ed attività funzionali alla permanenza dei processi vitali della comunità “vecchia” e nuova. La pedonalizzazione e la valorizzazione dei nodi strategici dei centri storici è sinonimo di senso civico, di rispetto e di qualità urbana. E’ da anni che ce lo ripetiamo ma la situazione rimane invariata e ben al di là di pianificazioni virtuose rimaste sulla carta. Che cosa aspettiamo. |
Non so quanta parte dello stato di sfascio nel settore più elevato di Piazza Castello sia dovuta ai bombardamenti e quanto agli sventramenti. Perchè non proporre un concorso di idee per il suo recupero, anziché pensare alle tensostrutture? (le quali poi non sono temporanee, al contrario, durano assai nel tempo, come vari esempi dimostrano).
Relativamente a “quanta parte dello stato di sfascio nel settore più elevato di Piazza Castello sia dovuta ai bombardamenti e quanto agli sventramenti” ribadisco che “l’attuale conformazione della Piazza Palazzo è tutto sommato abbastanza recente e risente dei diradamenti che sotto i colpi del “piccone rinnovatore” portano alla cancellazione, nel 1912, del Palazzo dell’Intendenza di Finanza situato proprio di fronte al Palazzo regio. Il diradamento successivo dovuto da una parte ai bombardamenti del ’43 – che riportano in luce il vicolo de Su Carrilloni – e dall’altra agli sventramenti del ‘72 per opera del Genio Civile che cancellano il Palazzo di S. Placido determina, quindi, un’inusitata apertura prospettica e panoramica sul sottostante quartiere di Villanova e la successiva espansione urbanistica sul versante orientale”. Per quanto riguarda un concreto concorso di idee per il recupero e la pedonalizzazione della Piazza Palazzo, invece, è proprio ciò che di fatto si auspica nell’articolo, dato che non ce n’è mai stato uno: parole sì, tantissime e da tutte le provenienze, soprattutto nell’ambito dei laboratori previsti dalla Facoltà di Architettura di Cagliari dal 2010-11, che in ogni caso non hanno modificato lo status quo del sito ed in cui, tra le altre cose, sono state contemplate anche delle possibili soluzioni con delle tensostrutture