Affrontare i nodi strutturali del comparto lattiero-caseario ovi-caprino nel momento felice [di Pietro Tandeddu]

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Su questo sito, ultimamente, sono intervenuti in diversi per trattare delle problematiche del comparto ovi-caprino; giusta attenzione, considerando che la Produzione Lorda Vendibile del settore agricolo è data in Sardegna prevalentemente dalle produzioni animali e tra queste, il latte ovino contribuisce alla PLV totale, ai valori medi del momento, per il 22%.

Dal latte si ricavano mediamente 500.000 ql. di formaggi dei quali 250.000 ql. di pecorino romano che alimenta un interessante flusso di esportazione per un valore ( 2013 ) di 105 milioni,pari al 12,5% del totale delle esportazioni sarde ( 840 milioni al netto dei prodotti petroliferi. A prezzi attuali il valore dell’export di pecorino e fiore sardo ( registrati con un unico codice doganale ) vale oltre 150 milioni di euro.

In questi ultimi tempi le aziende agro pastorali vivono, se non un momento felice, senz’altro un momento più sereno; il prezzo del latte ovino pagato un tempo una miseria (0,51 € nel 2004, 0,63 nel 2010 e 2011, 0,68 nel 2012), è cresciuto negli ultimi anni sino a superare l’euro/litro contestualmente ad una crescita delle quotazioni del pecorino romano che dopo aver toccato il livello forse più basso della storia di € 4,20 nel 2006, di € 4,85 nel 2011 è, via via, cresciuto sino a stabilizzarsi negli ultimi mesi in € 9,50/Kg alla produzione.

Qualcuno si chiede come ciò sia potuto accadere. Per quanto la risposta possa apparire banale, ritengo personalmente che sia semplicemente il frutto dell’equilibrio creatosi tra domanda e offerta. Premesso che nel 2004 furono prodotti 366.369 ql. di romano cui corrispose allora un prezzo del latte di 0,51 centesimi/litro, nelle quattro campagne casearie che hanno preceduto quella in corso, la produzione media è attestata in 249.00 ql.

La campagna 2014-2015 mostra dati in aumento. Secondo le rilevazioni del Consorzio di tutela si registra, a chiusura del mese di maggio, un aumento del 22% che potrebbe portare la produzione, a fine campagna, ad avvicinarsi ai 300.000 ql. Secondo gli operatori della trasformazione, la ragione risiederebbero nella necessità di ricostituire le scorte, posto che si erano esaurite già nel mese di febbraio lasciando inevasi gli ordini dei clienti. Non ho argomenti per confutare tale tesi né motivi per dubitare che la situazione sia fuori controllo.

Considero solamente che il mercato americano, principale mercato di sbocco, ha visto progressivamente diminuire le importazioni passando dai 209.000 ql. del 2000 ai 128.000 del 2013. Si auspica naturalmente che la parificazione, nella sostanza, tra dollaro ed euro svolga i suoi effetti positivi. In Europa vi è stato un lenta crescita ( dai 26.000 c. del 2007 ai 35.000 del 2010 ) ma con segnali contradditori che hanno visto, per es., un rallentamento in Germania e Francia negli ultimi mesi del 2014. In Italia, ove si stima un consumo di 100.000 ql., non aiuta il calo generalizzato dei consumi che investe anche il settore agro-alimentare.

Un incremento controllato delle produzioni non dovrebbe pertanto portare conseguenze negative; alla condizione però che gli operatori mantengano la barra dritta e che qualcuno, nel momento attuale, nel momento più delicato del mercato, rappresentato dall’immissione della nuova produzione, che, come si sa, a norma di disciplinare, deve avere almeno 5 mesi di stagionatura, non provi ad avanzare offerte sotto il livello consolidatosi nell’ultimo periodo. Si renderebbe responsabile di un “delitto” che sarebbe difficile da giustificare agli occhi del comparto ed in particolar modo degli allevatori.

Il momento è propizio invece per costruire finalmente una strategia condivisa dall’intera filiera.

Non mancano gli strumenti, come l’Organizzazione Interprofessionale riconfermata dal nuovo regolamento comunitario sull’OCM UNICA (Organizzazione Comune Mercato) , che affida a tale strumento, rappresentativo degli attori della filiera, alcuni importanti compiti, fra i quali:
1. migliorare la conoscenza e la trasparenza della produzione e del mercato, anche mediante la pubblicazione di dati statistici aggregati sui costi di produzione, sui prezzi, sui volumi e sulla durata dei contratti precedentemente conclusi e mediante la realizzazione di analisi sui possibili sviluppi futuri del mercato a livello regionale, nazionale o internazionale;
2. prevedere il potenziale di produzione e rilevare i prezzi pubblici di mercato;
3. contribuire ad un migliore coordinamento delle modalità di immissione dei prodotti sul mercato, in particolare attraverso ricerche e studi di mercato;
4. esplorare potenziali mercati d’esportazione;
5. redigere contratti tipo compatibili con la normativa dell’Unione;
6. fornire le informazioni e svolgere le ricerche necessarie per innovare, razionalizzare, migliorare e orientare la produzione e, se del caso, la trasformazione e/o la commercializzazione verso prodotti più adatti al fabbisogno del mercato e ai gusti e alle aspettative dei consumatori, con particolare riguardo alla qualità dei prodotti;
7. incoraggiare il consumo sano e responsabile dei prodotti sul mercato interno; e/o informare dei danni provocati da abitudini di consumo pericolose; promuoverne il consumo e/o fornire informazioni per quanto concerne i prodotti sul mercato interno ed esterno;

E’ questa la sede per:
– programmare, unitamente ai consorzi di tutela delle DOP, il destino del latte e pertanto i quantitativi di formaggio da produrre secondo le diverse tipologie orientando le produzioni prioritariamente verso le DOP. E’ già in essere il programma di programmazione dell’offerta del pecorino romano che deve terminare il suo percorso burocratico per l’approvazione ministeriale e che si spera possa produrre i suoi effetti nella prossima campagna casearia. E’ l’occasione per rimarcare che il progetto deve poter contare su strumenti convincenti comprese “ multe “ che non siano risibili , a carico degli inadempienti;
– rivedere il disciplinare del pecorino romano per la identificazione di un pecorino romano “da tavola” a basso tenore di sale;
– rivedere, eventualmente, il disciplinare del pecorino sardo se si ritiene che quello in essere non porta ad incrementi significativi di produzione, oggi limitata a meno di 20.000 ql.;
– raccogliere, con il supporto dell’Osservatorio Ovicaprino regionale, i dati che consentano di avere un quadro conoscitivo esaustivo del comparto;
– condividere una griglia per il pagamento del latte secondo qualità stabilita da precise condizioni igieniche e di resa (Materia Utile Caseificabile);
– predisporre un unico contratto-tipo di fornitura da adottarsi sull’intero territorio regionale per regolare in termini trasparenti la contrattazione tra le aziende di trasformazione e quelle di produzione, secondo quanto previsto dall’art. 62 della L. n. 1/2012;
– porre mano ad azioni sperimentali di destagionalizzazione della produzione di latte;

Dal canto suo, l’Amministrazione regionale, nell’assumere la funzione di coordinamento dei momenti collegiali di coordinamento delle varie rappresentanza di filiera, sostenendone percorso e progetti, deve:

– portare a soluzione l’annoso problema della reintroduzione del credito di esercizio agevolato per le aziende pastorali;
– sostenere i processi di capitalizzazione delle imprese cooperative di trasformazione con l‘ausilio della SFIRS, gestore del Fondo regionale di Garanzia;
– premere sul governo nazionale affinché sia ricomposto il Tavolo nazionale di Filiera del comparto ovi-caprino già istituito, su pressione della Giunta regionale, con decreto ministeriale del 2008. Si è visto quale utilità ha avuto recentemente il Tavolo del latte vaccino per l’ elaborazione del D.L. n. 51 di prossima pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale;

Una cosa è certa: non si può attendere una prossima crisi, per piangere “sul latte versato“.

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