Luigi Cogodi che era coetaneo di Mick Jagger [di Maria Antonietta Mongiu]
Il detto “Non esiste notte tanto lunga, da impedire al sole di risorgere”, pur declinato come un talismano, non funziona per esorcizzare le molte morti che capita di vivere. Quelle lente della sottrazione imposte dalla malattia o dalla depressione o quelle veloci che facilitano chi se ne va. La morte, comunque sia, arriva invadente e impudica perché non rispetta età, orari, stagioni. Neanche compleanni. Quella di Luigi Cogodi è arrivata d’estate poco prima del settantaduesimo compleanno che cadeva il 27 luglio, sotto il segno del Leone, il giorno dopo quello di Mick Jagger. Anche lui nato nel 1943, durante la guerra, ma che sta avendo il tempo dalla sua. Che gioco spiritoso quel lapsus cronologico per abbinare Luigi a Jagger e ad altri geni, Stanley Kubrick o Carl Gustav Jung, nati il 26 luglio, e alla sequenza di meno illustri conoscenti, leoni di luglio. Quando andava in onda questo teatrino ne rideva nel modo brusco e rumoroso che è dei timidi e di quelli che malgrado il cursus honorum non perdono umiltà e senso delle origini. Più convintamente si prestava al siparietto di discendente da is paras de orienti, i Basiliani che, arrivati con i Bizantini, avevano dato il nome al suo paese. L’insolito colore di capelli, raro in Sardegna, ne confermava origini lontane ma soprattutto inerì in quel suo suggestivo e gradito stigma politico: il rosso. Un vero rock rebel e un’icona perfetta della politica. Chiunque abbia frequentato la Casa dello studente tra fine Sessanta e primi anni Settanta lo ricorda, fiammeggiante, spiccare nei cortei. I suoi contrapposti a quelli del Movimento studentesco. Sempre fedele infatti al PCI, casa e famiglia sue fino alla fine del partito, stupiva i più ingenui perché non aveva seguito Luigi Pintor nella scissione del Manifesto. Ma Luigi Cogodi come altri con la sua storia era poco incline ad avventure e percorsi di cui fattivamente non si vedessero ricadute concrete e pubblica utilità. Nei secondi anni Settanta la sua presenza nel Consiglio comunale di Cagliari è da prendere ad esempio non diversamente da quella dei suoi compagni. Nomi e battaglie che oggi sembrano irraggiungibili. Alcuni di loro, diventati cagliaritani di elezione ed eredi di un’altissima tradizione, erano dotati di quel senso dell’urbano che ha conferito a Cagliari, attardata nella ricostruzione, un ruolo esemplare in Sardegna, oltre la cinta daziaria. A differenza di quanto sostenne Antonio Romagnino che pure condivise molte battaglie di quel drappello, sono state le trasfusioni antropiche e culturali da tutta la Sardegna che hanno trasformato radicalmente Cagliari. Il più delle volte in meglio C’è da indagare e studiare su quei ragazzi che approdati, col presalario e dunque per merito, all’Università s’inurbarono e grazie a quell’ascensore sociale che li emancipava dalle condizioni di origine modernizzarono l’isola. Popolarono la Casa dello Studente e divennero classe dirigente, senza complessi. Oltre a riposizionare Cagliari, declinarono il concetto di autonomia in forme originali e insieme il ruolo dello stesso PCI sardo. Non riuscirono a contenere la coda della Rinascita sub industriale, devastante per il ceto di provenienza. Fecero ri-nascere l’edilizia economica-popolare e fondarono la sanità che fu pubblica e di valore. Per la prima volta il paesaggio fu vissuto come ricchezza da non consumare e come identità della Sardegna. Furono i primi che sentirono, pur convintamente del PCI, di essere classe dirigente non minoritaria e con questa allure andarono al governo della Regione, operando bene e a schiena dritta. Enrico Berlinguer non si vergognava di loro e molti dirigenti sardi di quel PCI furono interlocutori, alla pari, a Roma. Ecco perché chi li ha emarginati doveva farlo solo dopo averne acquisito l’altissima lezione di governo. Non averla imparata infatti e aver liquidato le persone senza valutarne il merito e l’etica, ci ha consegnato un quadro che declina al ribasso nella politica e nelle politiche. Si tratti di ambiente, paesaggio, sanità, istruzione, beni culturali, agricoltura. Per tacere dell’industria in cui da trenta anni non si dice una parola. Meno che mai di sinistra. Sì, il tempo non è stato dalla parte di Luigi Cogodi e di quelli che sono stati la meglio gioventù. La Sardegna sì. E’ tempo allora che chi governa li studi perché l’isola ha ancora bisogno di alcune loro intuizioni. |
Il presalario, la casa dello studente, l’ascensore sociale, la schiena dritta..
Molto bello e molto giusto per quest’uomo (Luigi Cogodi) di grande intelligenza e con visioni sociali da vera sinistra (non come quelle attuali di certa finta sinistra…). Onore a un politico di razza.
Ho condiviso per cinque lunghi anni con Luigi Cogodi l’esperienza di assessore regionale nella Giunta presieduta da Mario Melis. Ed ho potuto apprezzare oltre alla sua indiscussa competenza il rigore morale che lo contraddistingueva ed anche il carattere spigoloso ma schietto che costringeva chiunque a decidere se essergli amico. Ed io, oltre che compagno, gli sono stato amico: sentimento da lui ricambiato, ma l’ho saputo esplicitamente soltanto per la conferma che me ne ha dato il fratello quando sono andato al cimitero per salutarlo per l’ultima volta. La sinistra dei giorni nostri, così malridotta com’è, dovrebbe poter annoverare nelle sue fila molti più uomini dello stampo di Luigi.
Mi sembra quanto meno azzardato l’accostamento operato dalla Mongiu a Mick Jagger e ad altri geni, Stanley Kubrick o Carl Gustav Jung. Qui il politico scomparso aveva forse l’onestà del vecchio comunista, oggi sicuramente non di casa nelle fila del PD.
Del vecchio PCI e del nuovo PD devo segnalare oltre la retorica, il modus di affidare gli incarichi agli amici senza particolari meriti, a parte l’appartenenza politica. Se questo è un merito allora forse era era meglio non istituire la casa dello studente e il presalario…