Philippe Daverio: “Direttori stranieri ai musei? È pressapochismo del governo. Nomi non all’altezza” [di Laura Eduati]

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L’Huffington Post 18/08/2015. Sulla nomina dei sette direttori stranieri destinati a guidare altrettanti musei pubblici italiani, Philippe Daverio nutre una opinione chiara quanto tagliente: “È il risultato dell’insipienza del ministero per i Beni culturali che non ha organizzato concorsi e non ha formato carriere in Italia. Una leggerezza pressapochista. C’è una discrasia tra gli annunci rodomonteschi del governo sull’Italia che riparte e sfrutta il proprio patrimonio artistico, e poi queste nomine“.

La nomina più clamorosa riguarda le Gallerie degli Uffizi di Firenze, dove l’esperto di arte fiorentina Eike Schmidt prenderà il posto di Antonio Natali. Tra gli altri, avranno un direttore straniero il Parco archeologico di Paestum, il Palazzo Ducale di Mantova e la Galleria Nazionale delle Marche. Per Daverio si tratta di “una scelta ghibellina” che non aiuterà i musei italiani: “Gli stranieri faticano a entrare in sintonia con la società italiana e la realtà produttiva locale, per non parlare delle difficoltà sindacali che incontreranno“.

Professor Daverio, perché il ministero ha scelto di chiamare dei direttori non italiani?
In Italia validi direttori non ce ne sono e i migliori sono andati in pensione. Purtroppo negli ultimi dieci anni il nostro ministero non ha formato carriere e non ha coltivato il personale. Tuttavia reputo che, per quanto fragili le risorse interne, siamo più efficaci delle illusioni esterne.

E cioè era meglio nominare direttori italiani, a prescindere dalle competenze?
Questa è una scelta ghibellina: siccome non ce la facciamo noi italiani, allora chiediamo aiuto all’impero. Ma io credo che uno straniero fatichi a entrare in sintonia con la società italiana e la realtà produttiva locale, per non parlare delle difficoltà sindacali che incontreranno e la lotta con una complessità normativa che non conoscono. Sia chiaro, non ho nulla contro i nomi che andranno a dirigere i musei, ma abbiamo già visto come è andata a finire con i sovrintendenti esteri messi a capo dei teatri italiani: chi non conosce l’Italia non riesce a mettersi in collegamento con gli imprenditori e con le banche per fare fund-raising e raramente ottengono una connessione con il territorio sociale.

Dunque è convinto che i sette nuovi direttori stranieri non riusciranno a svolgere al meglio il loro lavoro e non potranno apportare una ventata di aria nuova?
La complessità del sistema italiano richiede esperienza. E il successo di molti musei si basa sulla capacità di attrarre denaro. Un direttore non ha la facoltà di cambiare le leggi e, parlando dei dipendenti, deve riuscire a dialogare con il sindacato. Prendiamo Eike Schmidt, scelto per le Gallerie degli Uffizi: proprio in quella istituzione l’80% del lavoro di un direttore è di tipo amministrativo-burocratico e soltanto il 20% è creatività. Il ministero si rende conto di questo elemento?

Non pensa che la competenza possa bastare?
Stiamo parlando di direttori che non toccano nemmeno la caviglia dei nostri sovrintendenti storici, i quali erano sommi intellettuali rispettati e venerati in tutto il mondo. Lei pensa davvero che un promettente e brillante storico dell’arte tedesco possa abbandonare la Germania per dirigere un museo italiano con tali pastoie burocratiche, per metà dello stipendio? La verità è che nessuno di questi nuovi direttori stranieri è un autentico califfo.

Arriviamo ai nomi. Un archeologo di 34 anni, Gabriel Zuchtriegel, dirigerà il Parco archeologico di Paestum. Cosa ne pensa?

Gli faccio tanti auguri. Guardi, ripeto, sono tutte brave persone. Ma è come chiamare un esperto di motocross per una gara di barca a vela: continuerà a cercare il manubrio e spingerà sul gas, senza accorgersi che non deve fare benzina, bensì sfruttare il vento. Uno deve essere allenato a fare questo mestiere.

L’austriaco Peter Assmann dirigerà il Palazzo ducale di Mantova, da tempo è consigliere scientifico al Castello del Buonconsiglio di Trento e ha lavorato a Firenze.
Il Castello del Buonsiglio è molto bello ma non è certo il Louvre. La nomina di Assmann, che comunque ha un buon curriculum, è una autocritica drammatica per l’Italia: non siamo riusciti a formare qualcuno per il Palazzo ducale di Mantova, che ha una storia non espositiva ma museale, almeno negli ultimi 3 secoli?

Insomma, un disastro.
C’è una discrasia tra gli annunci rodomonteschi del governo sull’Italia che riparte e sfrutta il proprio patrimonio artistico, e poi queste nomine. È come se avessimo bisogno di petrolio e invece di chiamare la Shell ci accontentassimo di una compagnia petrolifera polacca. Per un verso è una vicenda leggermente comica, ma rivela anche una totale di sense of humour del ministero. Ciò che colpisce è la leggerezza pressapochista del percorso, è come se quattro pensionati si mettessero a progettare un grand hotel. Ecco, lo definirei così: un momento esaltatorio del pressapochismo italiano.

One Comment

  1. sergio

    Philippe Daverio sarebbe l’uomo giusto per sovrintendere la complessa macchina dell’arte in Italia.

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