Albania, dalle paranoie dittatoriali alle bolle speculative imprenditoriali [di Raffaele Deidda]
Difficile dimenticare le immagini del 1991, quando a marzo arrivarono in Puglia, a bordo di imbarcazioni di ogni tipo, più di 25mila albanesi. Scappavano dalla crisi economica dopo 40 anni di dittatura comunista del premier Enver Hoxha, salito al potere dopo la sconfitta degli italiani nella seconda guerra mondiale. La sua morte nel 1985 aveva lasciato un paese alla fame e allo sbando. L’avvento del delfino di Hoxha, Ramiz Alia, non riuscì, nonostante le riforme annunciate, a bloccare la voglia, soprattutto dei giovani, di uscire dalla miseria del paese e di perseguire il sogno di raggiungere l’Occidente e l’Italia in particolare. Fu un esodo biblico verso l’Italia, la “terra promessa” dei programmi televisivi che facevano immaginare un paese ricco, con il benessere alla portata di tutti. Grande fu allora la solidarietà dei pugliesi nel fornire abiti, cibo e medicinali a uomini, donne e bambini affamati e disperati. Ad agosto arrivarono a Bari altri 20.000 albanesi con la nave “Vlora”, lasciando impresse nella memoria collettiva le drammatiche immagini dei “boat people” dell’altra sponda dell’Adriatico. La terza ondata degli albanesi sarebbe avvenuta durante la guerra del Kosovo (1998-1999), per sfuggire ai massacri dei serbi di Slobodam Miloscevic. Gli albanesi amano l’Italia e gli italiani che considerano fratelli, nonostante l’occupazione nel 1939 delle truppe mussoliniane con l’attribuzione a Vittorio Emanuele III del titolo di “Re d’Italia e di Albania”. Ancora oggi molti i nostalgici che considerano quella un’unione fra paesi e non un’occupazione, che ha realizzato opere pubbliche fondamentali per l’Albania. Ha fatto seguito la costruzione voluta da Hoxha, in tutto il paese, di circa 750.000 bunker capaci di ospitare ciascuno 3-4 persone. Lo scopo era quello di far trovare pronta l’Albania in caso di un’improbabile invasione straniera da parte dell’Occidente. Quei bunker, costati circa 2miliardi di euro, vengono oggi utilizzati prevalentemente a fini turistici o come depositi, oltre che dai fidanzati in cerca di un’intimità che non possono trovare nelle case dove convivono con i genitori, i fratelli e i nonni. Gli albanesi in Italia sono circa mezzo milione mentre sono circa 20.000 gli italiani in Albania fra imprenditori, ristoratori, artigiani, attratti dall’assenza di burocrazia che consente di avviare un’attività in un giorno. Italiani d’Albania, emigranti in senso contrario, che apprezzano la bassa imposizione fiscale (20% è la massima), in luogo del 60-70% in Italia e le basse retribuzioni del personale dipendente, che si attestano sui 250 euro mensili. La disoccupazione della forza lavoro locale resta alta, intorno al 18% ufficiale ma gli osservatori albanesi sostengono che quella reale raggiunga il 40%. L’Albania è comunque un paese in crescita, che ha voglia di crescere. Si calcola che l’economia viaggi cinque volte più veloce dell’Italia. Tutto va dunque per il meglio? “Non è esattamente così”, sostiene Agron Miri, architetto di Tirana. “In Albania la corruzione è un grosso problema, è diffusa a tutti i livelli e le tangenti sono la regola, specialmente all’interno delle istituzioni. I cittadini albanesi si chiedono ancora che fine abbiano fatto i 10 miliardi di euro assegnati al “Paese delle Aquile” dall’Unione Europea a partire dal 1991. I servizi non sono migliorati e anzi, rispetto al periodo della dittatura, la sanità e l’istruzione sono notevolmente peggiorate qualitativamente. Non è solo Renzo Bossi ad aver acquistato una laurea qui da noi, ma anche tanti figli dei notabili albanesi. I politici attuali, poi, sono figli dei vecchi apparati e possiedono il 5% della ricchezza nazionale. L’ambiente è trascurato, fuori dalla capitale Tirana i cumuli di rifiuti sono un elemento caratterizzante del paesaggio. Gli impianti idrici e fognari sono ancora quelli del periodo della dittatura, mentre il verde pubblico che un tempo era l’orgoglio del paese si riduce ogni giorno di più, lasciando spazio a costruzioni moderne il più delle volte abusive, che consumano suoli un tempo dedicati all’agricoltura. Nel paese circolano troppi soldi di dubbia provenienza che vengono investiti soprattutto nell’edilizia destinata alle imprese, alimentando una bolla speculativa che prima o poi esploderà”. Agron Miri mostra un cantiere aperto in una zona centrale di Tirana, un tempo polmone verde della città e meta delle passeggiate dei cittadini. L’area è molto grande, ospiterà una moschea voluta dal presidente turco Erdogan. “Non oso pensare a quante tangenti correranno e intanto la città perderà per sempre un’area verde di grande importanza”. Con un forte sostegno dell’Italia, nel 2014 all’Albania è stato concesso lo status di Paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea, che dovrebbe avvenire entro il 2024. Non è stato facile il passaggio dalla dittatura alla democrazia, ancora imperfetta e lacunosa. Ci si augura che gli standard richiesti da Bruxelles servano a migliorare la vita dei cittadini portando non solo più democrazia ma anche più regole, specie nella tutela dell’ambiente e del paesaggio. E’ quanto dovrebbe caldeggiare l’Italia, primo partner commerciale dell’Albania, memore di errori, passati e presenti, che hanno gravemente offeso l’ambiente e compromesso la salute dei cittadini in nome dello sviluppo. *Foto: Tirana Piazza Giorgio Castriota Skanderbeg, eroe nazionale. Fu ampliata tra il 1920 e il 1930 sotto la dittatura fascista del Regno d’Italia. |