La selva del Sulcis: e il suolo? [di Sergio Vacca]

suolo

Ho letto con molta attenzione l’intervento del prof. Mauro Agnoletti, associato di Assestamento forestale e selvicoltura all’Università di Firenze “La selva del Sulcis: allarme per il paesaggio forestale sardo? “ trovandolo interessante e meritorio di riflessione. Mi ha viceversa allarmato l’ultimo capoverso, nel quale afferma: “in Sardegna vengono gestiti con il taglio a ceduo poco più di 100.000 ettari, quindi non si può certo dire che poche centinaia di ettari portino a sostanziali modifiche dei caratteri del paesaggio sardo“.

Si, mi ha allarmato! perché ha richiamato alla mia mente i messaggi perversi delle multinazionali che pretendono di agire in Sardegna con la realizzazione di impianti di solare termodinamico, fotovoltaico eolico e mini-eolico. Messaggi, questi, che tendono a sminuire la qualità dei paesaggi agrari della nostra isola, definendoli degradati e, per le attività agro-pastorali, economicamente marginali, per cui, la conclusione logica sarebbe che sulle aree degradate l’attività industrial-energetica non danneggia il territorio (sic!) bensì lo valorizza, addirittura non modificandone le destinazioni d’uso.

D’altra parte – l’ho trovato scritto in molti dei documenti prodotti dalle multinazionali – poche centinaia di ettari di campi fotovoltaici et similia non modificano i paesaggi agro-pastorali dell’isola; li rendono più produttivi, non consumano sostanzialmente il territorio e lo rendono, dopo trent’anni, più performante che pria! Questo è il loro messaggio.

Non vorrei, prof. Agnoletti, che lei avesse le stesse mie preoccupazioni circa gli effetti dei tagli del soprassuolo sui suoli e tendesse a sminuirli. Perché così appare – se l’ho ben compreso – il messaggio sotteso nell’ultimo capoverso del suo intervento. Vede credo non le sfugga, da forestale esperto, che quando lo si priva della propria copertura vegetale un suolo – e questo è ancor più valido per quelli su giaciture acclivi – subisce l’impatto diretto delle piogge, particolarmente di quelle intense. E viene eroso. Erosione che dapprima interessa il topsoil, ma può riguardare l’intero solum.

Riguardo al territorio in questione, la foresta del Marganai, va poi considerato che il parent material è rappresentato da formazioni calcareo-dolomitiche del Cambriano. Si tratta di rocce dure e compatte di lentissima alterabilità. Ne consegue che i tassi di formazione dei suoli siano estremamente bassi, dell’ordine delle decine di migliaia di anni. Per cui l’erosione del topsoil e del solum costituisce un processo di degradazione assolutamente irreversibile, quello che viene definito – e lei lo sa benissimo – desertificazione.

Perciò, la prego, egregio professore, dia delle indicazioni – che siano chiare per tutti e anche a noi profani di Selvicoltura – su come si debba procedere nelle pratiche di “governo a ceduo”, che giustamente lei indica come “normale pratica di gestione forestale, (che) si attua in Italia fino dal periodo romano. Non distrugge il bosco, ma consente di avere un prodotto legnoso periodico, dato che la pianta tagliata rigenera nuovi alberi che nascono dalla parte recisa, secondo un processo del tutto naturale”.

Ma soprattutto dica a chiaramente tutti – e se sarà comprensibile per noi lo sarà per tutti – come queste normali pratiche di “governo a ceduo” possano salvaguardare il suolo. Ossia, come fare in modo che non si determini erosione nei periodi nei quali la superficie del suolo rimarrà scoperta e perciò priva di protezione. E questo – è appena il caso di sottolinearlo – è estremamente importante in un’area sensibile come il Marganai.

*Già professore di Scienza del Suolo all’Università di Sassari. Insignito dall’Accademia delle Scienze della Bulgaria nel 2007 della Laurea honoris causa in Scienza del Suolo.

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