L’Orbán in vellutino è il pericolo per l’indipendenza dei sardi [di Nicolò Migheli]
Il dibattito sull’indipendentismo e sul suo momento nella Sardegna di oggi, proposto da Alessandro Mongili su questa rivista, proseguito nel blog Sardegna Mondo e nelle reti sociali, ha il pregio di riprendere una riflessione che negli ultimi tempi si era assopita. La discussione ha toccato aspetti sia di tipo culturale che organizzativo. Confesso che quest’ultimo fattore mi coinvolge poco, preferendo affrontare questioni che mi sono più consone come le ragioni dell’autodeterminazione e i retroterra valoriali che la ispirano. Ognuno faccia quel che sa fare. Negli ultimi anni la platea si è allargata, tematiche che prima erano proprie di piccoli gruppi molto motivati oggi sono patrimonio di una vasta platea. Per questa ragione gli argomenti sacerdotali trovano laici che vogliono dire la loro. Ciò è avvenuto anche per merito degli indipendentisti storici. A quei protagonisti di decenni di lotte e di testimonianza si deve gratitudine e rispetto. Su tre cose si può essere tutti d’accordo. La prima: la pressione dei migranti e richiedenti asilo, ci costringe ad una profonda riflessione su come un fatto epocale ci possa cambiare e possa suscitare in noi reazioni di chiusura che ci sono estranee come popolo. I primi che dovrebbero farlo sono coloro che credono nell’autodeterminazione dei sardi e nella indipendenza. Tra questi mi ci metto anch’io. La seconda: la storia dell’indipendentismo contemporaneo in Sardegna, è nella quasi totalità di sinistra, nasce con la condivisione di tematiche che sono state del movimento terzomondista degli anni ’70. La terza: mai come in questo momento nell’isola c’è stata una tensione così forte nei confronti dell’autodeterminazione e dell’indipendenza dei sardi, varie ricerche sociologiche e l’esperienza quotidiana lo confermano. A questo sentimento però corrisponde una insufficiente rappresentanza politica, anche a causa della legge elettorale “turca” che finisce con l’escludere ampie fasce di elettorato dalla rappresentanza in Consiglio Regionale. Il mondo sta cambiando e siamo dentro una transizione che obbliga a ridefinirci. Il nostro punto di riferimento non è più solo Roma ma Bruxelles e Berlino, sempre più presenti nella nostra quotidianità. Ancora una volta la domanda, chi siamo? Chi vorremo essere? A quale società aspiriamo? Un mix che riguarda fino in fondo la nostra identità. Termine ambiguo che non può essere sostituito con altro sinonimo. Le risposta non è mai univoca. Si può avere una concezione di una identità bloccata, desiderante un passato immaginario. Ecco perché il riferimento al waabitismo contemporaneo. Anche quello, dal punto di vista politico, figlio della reazione alla Rivoluzione Francese; figlio di De Maistre e di tutti i teorici occidentali della purezza blut unt land. Oppure si può avere una identità vista come progressiva che costruiamo giorno dopo giorno in dialogo con le culture altre. Questa è la sfida, oggi esplicita, in altri tempi tacita, visto che l’essere sardi di oggi è ben diverso dall’esserlo cento anni fa. Però essere così è faticoso, bisogna essere certi della propria cultura. Il fatto che la lingua sarda sia marginalizzata dall’uso ufficiale è uno dei meccanismi che portano ad una identità debole, preda di qualsiasi pensiero importato, ci spinge a negare le appartenenze e a vergognarsene. L’altra questione è se l’essere di destra o sinistra travalichi il concetto di autodeterminazione. Una risposta comune di molti indipendentisti è: “sceglierò cosa essere quando saremo indipendenti.” Però il concetto di nazione e quello di destra e sinistra, insieme ai diritti dell’uomo, sono nati insieme con rivoluzione francese. Destra e sinistra non sono il meccanismo del dominatore per dividere i dominati. Sono categorie universali, infatti si trovano movimenti indipendentisti di sinistra come quelli catalani o gli scozzesi dell’SNP, che non si nascondono. Ma si può anche essere di destra nazista come Il Vlaams Belang fiammingo di Filip Dewinter, razzista ed anti immigrati. Il pericolo che in Sardegna nasca un Vlaams Belang, un Orbán in vellutino è reale. Nonostante fino ad ora la Sardegna nell’accoglienza degli immigrati si sia distinta in positivo, segni deboli di rifiuto si manifestano. Basta salire su di un autobus o entrare in bar, basta aver adottato un bambino di colore per sentire sguardi e parole oltraggiose. Un clima malsano che può essere usato e manipolato per costruire carriere politiche. Oggi Salvini e Fratelli d’Italia in Sardegna non sfondano. Non passano perché a questo punto sono percepiti come italiani. La destra italiana è a pezzi. Basta poco perché un politico fuoriuscito da un partito italiano, si impadronisca delle tematiche indipendentiste, faccia riferimento ad una purezza razziale, lanci, magari con cospicui finanziamenti, un partito ed una campagna di comunicazione adeguata, ed il danno è fatto. Una politica simile costringerebbe i movimenti indipendentisti democratici a segnare le differenze. Potrebbero però essere in forte ritardo. Ecco perché occorre non solo vigilare, ma stabilire punti fermi già oggi, così come fanno i catalani e gli scozzesi. L’ Orbán in vellutino, sarebbe l’ennesimo travestimento della destra italiana, sarebbe un rafforzamento della dipendenza così come lo è stato il sardo fascismo. Con buona pace di tutte le nostre le nostre aspirazioni per una Sardegna libera e più giusta. |