Riflessioni, forse ingenue, di un cittadino qualunque [di Franco Masala]

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Come un fiume carsico che si interra, poi riaffiora apparendo di nuovo, magari dopo chilometri e chilometri, così le alluvioni attraversano la Sardegna di tempo in tempo, provocando ingenti danni e lasciando uno strascico di polemiche. Si tratta di sperare soltanto che la nuova ondata sia meno devastante della precedente.

Le alluvioni di Firenze e Venezia – di ormai quasi mezzo secolo fa – sono passate nel dimenticatoio ma sembrarono allora un’eccezione. Ora, viceversa, i disastri idrogeologici sono diventati una “norma” stagionale in mezza Italia.

In questo contesto l’allerta con codice rosso diventa la foglia di fico dietro la quale nascondere inadempienze ormai storiche, al di là dei facili commenti, ironici o sdrammatizzanti, che hanno imperversato in Sardegna nei giorni scorsi.

Sorgono spontanei pochi interrogativi.

Chi non ha portato a compimento i piani di prevenzione, ammesso e non concesso che li abbia avviati ? Chi non ha vigilato abbastanza su opere pubbliche realizzate al risparmio ?
Questa generazione ha capito che dovrà sempre di più fare i conti con un clima in mutamento epocale e che sta alterando completamente le prospettive di un tempo ?
*Foto: il giornaledellaprotezionecivile.it

2 Comments

  1. fra

    I nostri antenati sardi hanno costruito città e villaggi a distanza di sicurezza dall’acqua, che guardavano con paura e rispetto.
    Noi invece siamo modernissimi e non abbiamo certo paura delle forze della natura, quindi abbiamo cementificato le coste, deviato corsi d’acqua, coperto canali naturali di scolo ecc.
    Il cambiamento climatico, ammesso che esista e qualcuno ne dubita, c’entrerebbe poco con i disastri da ciclone mediterraneo sulle città costiere.

  2. Mariano

    Al Tg3 regionale, del 05.10.2015, un agricoltore faceva notare che i corsi d’acqua erano invasi dalla vegetazione che ostruiva il deflusso delle acque e commentava: ci avrei pensato io a ripulire ma se taglio un albero mi arrestano. Purtroppo i pubblici ufficiali devono applicare (se non l’arresto, ammende e denuncie anche penali) quanto stabilito dal legislatore e dalle norme in materia ambientale, spesso troppo generalizzate, influenzate e rese rigide da motivazioni ideologiche, ancor prima che ecologiche e pragmatiche. Probabilmente mancano delle serie pianificazioni degli interventi necessari a livello di bacino e, anche quando ci sono, mancano i fondi per attuare gli interventi di prevenzione, cosi ché ci si ritrova a spendere soldi per riparare i danni. Si tratta di un circolo vizioso dove la burocrazia ha il suo grande peso, come per esempio consentire, contro ogni buon senso, solo la ricostruire del ponte sul rio Siligheddu esattamente come era, forse in virtù di qualche norma paesaggistica o urbanistica. Il grande trasporto di tronchi e materiale vegetale di vario tipo, che hanno ostruito il ponte, sono il risultato di una mancata cura del territorio (ben più ampio del tessuto urbano), per i quali i fondi a disposizione sono pochi, e non ci si ingegna (e forse si rende difficile farlo) nemmeno per creare risorse, trasformando “il veleno in medicina”. Probabilmente l’agricoltore dell’intervista sarebbe entusiasta di prestare la sua opera se l’eccessivo materiale vegetale in alveo potesse essere periodicamente prelevato per produrre biomassa e quindi energia. Il fatto che l’uomo stesso sia all’origine dei problemi, in quanto ha costruito in modo improprio, non significa che non abbia la capacità di porvi rimedio operando sull’ambiente (non solo sul tessuto urbano) in modo attivo, senza utilizzare più forza di quanto sia necessaria, ma agendo soprattutto in modo capillare con opere ordinarie di sistemazione, un tempo attuate per rendere possibile l’uso delle risorse: pare che la nostra civiltà sempre più urbanizzata, forse troppo fiduciosa nelle soluzioni altamente tecnologiche, le abbia dimenticate, quindi, prima di tutto servirebbe ristabilire il buon senso .

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