Per Enza Chessa che amava la terra ed i suoi frutti [di Maria Antonietta Mongiu]

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Alcuni la conoscevano come appassionata e generosa divulgatrice delle biodiversità vegetali; altri come ricercatrice dell’Università di Sassari; altri come moglie o sorella di qualcuno. Le piaceva essere figlia di una maestra, memorabile e raffinata poetessa, che maneggiava come pochi varianti del sardo e il catalano.

Io voglio ricordarla come una donna simpaticissima e mercuriale, pronta alla battura e alla risata; attivista consapevole e partigiana della terra. Naturalmente sempre disponibile per le iniziative di piazza che fossero a Pattada, a Villanova Monteleone o a Cagliari: mai perdere un’occasione in cui una comunità possa diventare più informata e, di conseguenza, più consapevole.

Protagonista in prima persona e attraverso i suoi studenti e il suo magistero di quella resilienza che sta attraversando la Sardegna, come un fiume carsico, e che consiste nella necessità che la nostra isola ed il suo suolo non siano distratti dal loro destino naturale: l’agricoltura.

Sto parlando di Enza Chessa, che da giovedì 15 ottobre non è più con noi. L’abbiamo vista a Cagliari l’ultima volta il 14 luglio del 2014. Aveva già iniziato la sua battaglia contro il mostro che l’ha portata via ma non aveva voluto mancare all’iniziativa: Quale Rinascita? Mestieri della Terra organizzata dal Fondo Ambiente Italiano, a Villa Satta, sede dell’IED. Aveva voluto farci un ultimo regalo. Aveva discusso con Angelo Aru, decano degli agronomi e maestro anche suo, e con Paolo Scarpellini, su Città Periferia Campagna : un filo verde tra agricoltura biodiversità giardini. Altri interlocutori della serata: Giuseppe Delogu, Giuseppe Pulina, Ilene Steingut, Giame Cabras e altri giovani architetti e land artists.

Chiara la sua posizione sulla necessaria interdipendenza tra saperi. Preciso il paradigma: il paesaggio italiano e quello sardo sono figli dell’interazione tra uomo e ambiente e pertanto la biodiversità non può che essere dentro la storicità dei luoghi e fugge da ogni “congelamento” come da ogni stravolgimento. “La biodiversità esisterà se la si pratica” la frase chiave. Necessario il recupero della vocazione agricola dei terreni che necessita di grandi investimenti sulla formazione per aumentare la competenza di chi sta in campagna ma anche della comunità tutta perché solo se si riprende a dare valore alla terra e a di chi la custodisce, l’agricoltura avrà futuro.

Anche Enza era profondamente convinta che il patrimonio agricolo sardo sia unico per varietà di specie e molteplicità di tecniche, ben più cospicue degli stessi paesi dell’isola. Che pure sono tanti. E’ il vero capitale che le nostre comunità ed i nostri giovani hanno a disposizione. Insieme alla lezione di una grande maestra. I tanti che animano questo sito la ricordano con stima e tenerezza. A Luigi. Eleonora, Pasquale la nostra corale solidarietà.

One Comment

  1. Sergio Vacca

    Siamo stati nello stesso Dipartimento, Scienze della Natura e del Territorio dell’Università di Sassari, per circa due anni. Lei proveniva dal Dipartimento di Arboricoltura e faceva parte di quel gruppo di transfughi che con noi di Scienze Botaniche Ecologiche e Geologiche ha dato vita al DIPNET (obtorto collo, per noi). Da subito non ho visto positivamente questa unione: noi Scienze Naturali, apparentati ad Agrari di varia provenienza. Personalmente ho cercato di ostacolare in tutti i modi questa unione, fortemente voluta dall’allora Rettore Mastino. Ma, al di là del rapporto freddo che – lo confesso – ho instaurato con la generalità dei nuovi colleghi, ho invece mantenuto con Enza il bel rapporto che avevo in precedenza. Donna sensibile, colta, eccellente ricercatore, grande didatta, molto ironica anche con se stessa. Era tra le poche colleghe che salutavo volentieri e con la quale, altrettanto volentieri, parlavo nelle occasioni dei Consigli di Dipartimento. Poi ho lasciato quel Dipartimento per passare ad Architettura e, mentre anche io attraversavo una durissima prova, forse la più dura della mia vita, ho saputo della sua malattia. L’ho incontrata ad ottobre dello scorso anno in Rettorato. Scambio reciproco di informazioni. Ma, attraverso alcuni colleghi e M. Antonia Mongiu, ho seguito l’evolvere del suo stato di salute. Fino all’epilogo. Addio Cara Enza.

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