Tra storia rimossa ed eventi ritrovati [di Nicolò Migheli]
I fatti di Palabanda furono complotto, congiura o la ripresa della Sarda Rivoluzione? Una risposta che forse non avremo mai. Gli atti processuali sono misteriosamente scomparsi, restano memorie di contemporanei e come tutti i ricordi, contradditori. La scoperta di documenti del tempo fatta dallo storico Giampaolo Salice negli archivi londinesi, fa intuire un coinvolgimento della corte sabauda nei fatti del 1812. Su quegli avvenimenti restano molte incognite. Per quel che mi compete la domanda fondante è perché Cagliari e la Sardegna ignorino un evento così importante, perché nessuno, se non una lapide seminascosta nell’Orto Botanico, ricordi Gaetano Cadeddu e i suoi compagni giustiziati con metodi crudeli ed oltraggiosi? Poniamo che un evento simile fosse avvenuto in una Sardegna dominata dai Borboni o da un’altra casa reale. Oggi Gaetano Cadeddu avrebbe un monumento in piazza Yenne a Cagliari, lì dove sorge quello di Carlo Felice di Savoia. Il Feroce, nella memoria dei sardi. La continuità della monarchia sabauda tra Regno di Sardegna e Regno d’Italia, ha favorito la rimozione se non l’ha deliberatamente voluta. Tutta la Sarda Rivoluzione di fine Settecento gode di cattiva memoria o di valutazioni storiche che tendono a sminuirne l’impatto che poi ebbe in tutto l’Ottocento. La si riduce ad un moto che alla fine raggiunse i suoi scopi: allargare i posti a corte ai sardi. Si mette in evidenza il tradimento dei Pintor Sirigu, si riconduce la vicenda di Angioy ad una delusione e fuga dall’isola ingrata. Eppure fu l’unica rivoluzione europea nata dalla semina illuminista a non essere stata istigata dai francesi. Di più, nel febbraio del 1792 Cagliari respinse lo sbarco dei transalpini. Ma tutto ciò o è ignorato o sottovalutato, peggio manipolato. I sardi hanno un problema con la loro storia? La nostra società contemporanea è cresciuta nella menzogna dell’isola senza storia, di un luogo periferico al resto del mondo. Nel migliore dei casi, vicende considerate preparatorie all’unità d’Italia. Tutto ciò funzionale alla negazione che ci possiede. Neghiamo la nostra lingua considerata rozza ed antimoderna, abbiamo negato le nostre abitazioni vissute con la vergogna della povertà, ci neghiamo quotidianamente nel nostro definirci come popolo. Eppure vi è una grande bisogno di storia, bisogno spesso ignorato da chi dovrebbe dare gli strumenti come la scuola, dove la Sardegna è, nel migliore dei casi, una nota a piè di pagina. Non esistiamo, e questa non esistenza permette di creare una storia mitica, che oscilla tra l’irrilevanza o il protagonismo assoluto. È il caso del nuragico, ad esempio, considerato tradizionalmente come espressione di un popolo pastorale, con le spalle al mare. Oggi dopo la scoperta dei Giganti di Monte Prama, si assiste all’esatto contrario, alla glorificazione di una grandezza che andrebbe ulteriormente investigata. È indubbio che la mancanza di documenti scritti- o forse sono sotto i nostri occhi e noi non riusciamo ancora a leggerli- favorisce la creazione di una storia ad immagine e somiglianza del sentimento di ciascuno. Interesse che porta molti a cancellare i restanti tremila anni, quasi che con la fine di quella civiltà la Sardegna non abbia più avuto storia. Una dimostrazione l’ha data la festa dell’Unità a Cagliari, dove in una scritta sul palco dopo i nuragici campeggiavano alcuni popoli che hanno dominato l’isola ma mancavano i sardi. La Sardegna come luogo geografico vuoto, abitato da persone senza identità e con un passato segnato solo dalle dominazioni altrui. Per fortuna al disinteresse di molti componenti dell’èlite, corrisponde un bisogno popolare che di anno in anno si fa sempre più forte. Lo dimostra il successo del romanzo storico, l’esperienza di un gruppo di insegnanti, storici e redattori di libri scolastici, che gratuitamente hanno messo a disposizione nel web delle dispense per le scuole primarie. Lo dimostra l’ampia partecipazione alle iniziative del FAI “Alla ricerca della storia perduta” e alla Faimarathon di domenica 18 ottobre. L’Università ha giovani e bravi ricercatori che consultano gli archivi e non si limitano a riletture di testi già pubblicati. Loro, se venissero messi in condizioni di poter operare serenamente, potrebbero essere la risposta seria e competente a questo bisogno. I sardi si stanno riappropriando del loro passato e con questo cambia il loro sguardo su di sé e su chi si è. Nonostante tutto c’è da essere fiduciosi. |