Dimenticare Palabanda? E’ condannare di nuovo a morte i “cospiratori” [di Pietro Picciau]

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Riletto con la mente dello storico l’epilogo della congiura di Palabanda del 1812 ha un difetto che tinge di giallo l’intero dramma: l’assenza di documentazione. Quella processuale, soprattutto: fatta sparire quando sospetti e insinuazioni sul presunto coinvolgimento nella cospirazione stavano addensandosi sul marchese di Villahermosa, stretto collaboratore del principe Carlo Felice.

Indagini durante il processo, avrebbero escluso la complicità del marchese, ma di quegli atti non è poi rimasta traccia. Mistero.

Immaginata da un narratore-divulgatore, la congiura ha invece il pregio di offrire diversi spunti perché una tragedia di quelle dimensioni – otto condanne a morte, di cui tre eseguite, e cinque in contumacia – possa diventare una storia meritevole di essere raccontata. Per i fatti, innanzi tutto (non meglio precisati nelle sue finalità ma con una causa scatenante più che verosimile: l’ottusa arroganza dei funzionari piemontesi), poi per i personaggi: borghesi, in massima parte, religiosi, artigiani, popolani, tutti animati dal desiderio di ripetere, dopo diciotto anni, lo “scommiato” dei piemontesi.

Storici e narratori, pur nei loro ambiti e con strumenti diversi, nei riguardi di quel dramma ancora oggi indagano e, quando possono (l’ultima volta il 18 ottobre scorso in occasione della Faimatahon all’Orto botanico di Cagliari, nei luoghi dove i cospiratori si riunivano per organizzare e preparare l’azione, programmata per la notte tra il 30 e il 31 ottobre 1812), propongono la rilettura di quanto accaduto, con la speranza che la rievocazione del sacrificio di quei patrioti diventi lucida testimonianza di un antico, sebbene insoddisfatto desiderio di autonomia rispetto al potere monarchico sabaudo.

L’eredità di quei fatti non è certo scomparsa (malgrado i tentativi dei Savoia di minimizzarli, se non rimuoverli per tutto l’Ottocento), ma interrogarsi su quanto rimanga oggi di quell’antico spirito di ribellione, parte importante della memoria storica dei sardi, sprona tutti, giovani in testa, a indagare e a darsi, se possibile, delle risposte. Dimenticare sarebbe come condannare di nuovo i cospiratori di Palabanda.

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