L’euforia non dura all’infinito [di Pietro Casula]

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Sarà che siamo un po’ distratti, profondamente inquieti e tormentati e per questo disposti a mutare con frequenza atteggiamenti o affetti. Sarà che la memoria non è la prima qualità nostrana. Per chi vive all’estero è sufficiente un giorno nel nostro Paese per ritrovarsi scaraventati in un vortice che ti riporta indietro nel tempo. Basta leggere i titoloni dei giornali o accendere la radio ed ascoltare il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dichiarare che la Commissione europea non ha nessun titolo per intervenire nel merito delle misure contenute nella legge di stabilità. “ Decido io la politica economica dell’Italia…e se l’EU dovesse respingere la legge di stabilità la ripropongo tale e quale”.

Come dire di quello che dice Bruxelles me ne infischio. Non è certamente cosi: la base legale per intervenire e bacchettare il nostro Renzi la Commissione europea ce l’ha eccome e l’Italia l’ha sottoscritta, si chiama Six Pack e Patto di Stabilità e crescita. Ma Renzi vuol far credere a noi tutti che l’economia è partita e và a gonfie vele e continua come un treno; annuncio dopo annuncio in continuo rilancio. Il suo aut aut è in realtà un bluff a difesa di una legge di stabilità che non sta in piedi, totalmente in deficit, visto che la Spending review – annunciata come l’asse portante della manovra – non esiste.

Passi pure una politica economica espansiva per stimolare la crescita, ma in deficit il governo non la può fare. Questo il messaggio diretto a Renzi , continuamente ribadito da Juncker, presidente della Commissione UE e altrettanto dai commissari Moscovici e Dombrovskis. E persino la Bundesbank, venerdi scorso, è intervenuta a gelare i sogni di gloria in deficit.

Ma sì, chi se ne frega di quello che dicono in Europa. Toni che rafforzano sempre più l’impressione che Berlusconi si sia reincarnato e che a Palazzo Chigi si trovi la sua versione 2.0 anche se non più in classico doppiopetto blu ma in giacca smile line Hugo Boss. Identica arroganza – e forse anche un tantino in più – del leader attuale, in fondo anche lui guida o pensa di guidare un popolo di ignoranti senza memoria.

Molti, e tra questi anche il nostro presidente Pigliaru, seguono, coltivano questo entusiasmo renziano, questo culto di annunci, promesse di tutto a tutti ma senza alcuna copertura vera, realizzabile. Euforia è una bella sensazione e a cavallo di questa sensazione vivi quel senso di gioia, di ebbrezza che ti fa sembrare tutto più facile, che ti da quella spinta in più che ti porta in alto, che ti da il coraggio per intraprendere e affrontare vie nuove. Vero. Altrettanto importante è, però, guardare con spassionata obiettività e razionalità la realtà.

Euforia, nella Grecia antica , significava anche fertilità o produttività. Finita l’euforia e benvenuti nella realtà del Paese, della nostra isola. E ritorniamo a Pigliaru. Ogni qualvolta che qualcuno affronta questo tema , si fa inevitabilmente riferimento al confronto con il resto d’Italia e al divario di Pil. Si punta il dito contro le classi dirigenti, singoli sprechi, sui trasferimenti Stato -Regione.

Gli annunci politici – di destra o di sinistra è sempre lo stesso ritornello – pongono al centro i giovani (e ti pareva) il lavoro, la ripresa, la crescita. La realtà ci insegna tagli lineari, riduzione dei servizi, a partire dalla scuola, la cultura, la ricerca, il welfare, l’infanzia e la tutela del territorio. Quello che, purtroppo, emerge con maggiore drammaticità, al di là della discordanza tra proclami e concrete azioni politiche, è la mancanza di una visione, di un’idea che generi e magari guidi il cambiamento. Forse anche a causa della diffusa tendenza/inclinazione ad arroccarsi a difendere ciò che resta, a difendere lo status quo. Scelta molto personale non di certo razionale e soprattutto scorretta nei confronti delle nuove generazioni.

Che futuro avremo con questo presente?

Se i giovani e i talenti fuggono da un’isola incapace di attrarre i cervelli, se non si riesce a garantire i servizi primari e la dignità umana, se il nostro patrimonio storico, ambientale, artistico e culturale è trascurato, non valorizzato o abbandonato, se la povertà aumenta spaventosamente e le mafie recuperano territori inimmaginabili, se la pazza, assurda scelta tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro si finisce per distruggere la comunità e aumentare l’emarginazione, la disgregazione sociale, come si può immaginare di “cambiare” la nostra isola, il Paese, portando addirittura sviluppo?

Lo sviluppo, questo primo passo del cambiamento, a differenza di quanto si è praticato negli ultimi sessant’anni – e che qualcuno crede ancora di riproporre – non dobbiamo attenderlo da chissà chi o da chissà dove ma crearlo partendo proprio dai beni comuni, dalla coesione, dalle comunità locali.

Ora più che mai dobbiamo cambiare il futuro con delle scelte che possono anche sembrare molto coraggiose ma che in realtà, come tutte le gran belle cose, sono di una semplicità devastante: ribaltare l’ordine delle priorità dando spazio all’innovazione, responsabilità e competenza alle giovani generazioni e rispetto verso il nostro territorio. Fare per cambiare! Lo vogliamo gridare nel deserto?

*Presidente Sardi nel mondo

One Comment

  1. Non posso che trovarmi del tutto d’accordo con le considerazioni di Pietro Casula: cambiare tutto per non cambiare niente… Berlusrenzi alla carica…

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