Lo tzunami in corso e quello prossimo venturo [di Salvatore Cubeddu]
Per fortuna (e grazie alla fatica di tanti) la manifestazione di ieri è andata bene. Poteva non essere così – se poche fossero state le presenze e/o dei provocatori l’avessero fatta degenerare – a vantaggio di chi considera la Sardegna un possedimento italiano d’Oltremare. Una manifestazione che siamo stati costretti a fare, perché le nostre istituzioni (non-) autonome non hanno fatto fino in fondo il loro dovere. Riferiva, commosso, un partecipante: Un ragazzino di 10/11 anni si è avvicinato al corteo, ha alzato il pugno chiuso e gridato: “Sono sardo, non italiano!”. Non cogliendo, forse, la novità che esprimeva, che non consiste solo nella sua giovane età, ma nell’abbinamento tra il pugno chiuso e la frase espressa. Visto che, almeno fino ad ora, per la sinistra in Sardegna, il non considerarsi italiani rappresenta un’eresia inaccettabile, per il cuore prima che per la mente. Impressionava, infatti, che ad una manifestazione così significativa mancasseroPD e i sindacati (tranne la Confederazione Sindacale sarda). Solo, e quale privato cittadino (?), Cristiano Erriu, assessore agli enti locali, solo … unico tra i dodici della giunta. E’ stato bello vedere i visi sorridenti dei giovani barbuti (sorprendente il ritorno della moda che marcò politicamente gli anni ’60! Ma ieri lo erano anche tanti poliziotti…), seguire gli oratori (in gran parte maschi 60-70enni) e cantare il procurad’e moderare che ormai conclude, nello sventolio della nostra bandiera nazionale, ogni recente manifestazione. Hanno parlato, innumerevoli, i gruppi contro le servitù militari rese più attuali che mai dall’ “Operazione Trident Juncture 2015” della Nato a Teulada. L’arco della presenze conteneva i pacifisti ‘senza se e senza ma’, i cattolici de ‘la tavola sarda della pace’, chi vorrebbe l’uscita dell’Italia dalla Nato, gli indipendentisti che vogliono fuori l’Italia dalla Sardegna, fino a quei pochi indipendentisti ‘silenti’ che si interrogano anche sulla difesa dell’Isola nei tempi lunghi della battaglia presente (e, purtroppo, duratura) contro il fondamentalismo islamista, all’esterno e all’interno dell’Occidente. Probabilmente molti non lo ricordano: la Sardegna è l’ultima regione europea assalita dalla marineria barbaresca, quando nel 1812 Carloforte e Calasetta furono attaccate e centinaia di tabarkini furono rapiti e portati in Africa, da dove tornarono dopo che tutti i sardi ne pagarono per tre volte il riscatto. Appena duecento anni orsono. ***** Questa settimana trascorsa ha visto la crescita della mobilitazione dei Sassaresi che chiedono la città metropolitana al pari dei Cagliaritani: la riunione degli 80 sindaci della parte Nord occidentale della Sardegna, l’appoggio dell’Università espressa da un’importante sociologa del territorio in questo sito (tesi: Sassari ha le stesse caratteristiche e, quindi, gli stessi diritti a città metropolitana di Cagliari), la presa di posizione a favore dell’azione dei propri sindaci da parte delle associazioni datoriali e del sindacato. Ma anche dei partiti locali, senza distinzioni. Il sindaco Nicola Sanna va facendosi portavoce dei diritti turritani presso le istituzioni italiane, l’assemblea dell’Anci e i parlamentari. E a Cagliari? Si fa gli gnorri, come se si pensasse che, intanto, la forza e gli interessi oggettivi prevarranno. A proprio favore, naturalmente. I consiglieri regionali del PD hanno ottenuto un mese in più per trovare un accordo, fino alla fine dell’anno. Che significa un ulteriore mese di possibile mobilitazione anche per chi è contrario alla proposta della Giunta regionale. Ma Pigliaru è determinato: o passa il progetto del suo governo o si dimette. Provocando una vera e propria crisi nei partiti e nei consiglieri regionali della sua maggioranza: se appoggiano Cagliari, si ritrovano contro tutto il resto della Sardegna. E, per molti, significa mettere in forse il proprio collegio elettorale. Ma, mettiamo che Sassari e Cagliari trovino un accordo. E Nuoro, con la sua provincia? E Oristano? E Olbia? La subalternità alle indicazioni romane e l’indifferenza nel ripensare le nostre istituzioni secondo gli interessi dei nostri paesi e delle nostre città – differenti anche in questo da quelli continentali – verranno pagate a caro prezzo soprattutto dalla sinistra. E non si dica che obbediscono al dettato referendario. Perché, allora, non rispettano quel referendum che rende obbligatoria l’Assemblea Costituente del Popolo Sardo? Non potrebbe il Consiglio regionale darsi, invece che un solo mese, un anno e chiedere al proprio popolo quali istituzioni intenda darsi per i decenni futuri? Se ne è già parlato: la prima libertà è quella di non lasciarsi imporre da altri le scadenze della propria storia. Quando il veleno viene sparso tra i cittadini, diventa impossibile per gli uomini delle istituzioni fare retromarcia senza danni per sé e per ciò che rappresentano. Riusciranno le istituzioni autonome a sopravvivere allo tsunami che si prepara e che le attende? |