Gli eurogufi di Renzi [di Raffaele Deidda]

owl.jpg.aspx

Eurostat è l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea che raccoglie ed elabora i dati degli stati membri a fini statistici. Il report 2015 relativo ai flussi nel mercato del lavoro in Europa evidenzia come l’Italia tra il primo e il secondo trimestre 2015 sia, col 35,7%, il paese europeo con il più alto numero di disoccupati inattivi, che hanno cioè rinunciato a cercare lavoro, a fronte di una media europea del 16,8%. I disoccupati italiani che hanno trovato un impiego (almeno un’ora lavorata nella settimana di riferimento statistico) tra il primo ed il secondo trimestre del 2015 sono il 16,1%, rispetto alla media UE del 18,6%. Peggio dell’Italia solo la Grecia (8,6%), la Bulgaria (10,7%), la Slovacchia (13,4%) e la Polonia (15,8%). Paesi come l’Islanda e la Danimarca hanno avuto un incremento di occupazione nel periodo pari rispettivamente al 49% e al 38,4%.

I risultati recenti in termini di crescita di Pil stanno andando oltre le previsioni, l’occupazione è buona con contratti migliori. La ripresa è dovuta alla domanda interna delle famiglie e delle imprese grazie al ritorno della fiducia”, ha recentemente dichiarato il ministro dell’Economia Padoan. Il ministro è persona sobria che non si lascia andare agli entusiasmi facili. Per lui l’occupazione è solo “buona”.

Significa che non é davvero cresciuta? Lascia al premier Renzi l’orgoglio di commentare dalle colonne dell’Unità i dati Istat che rilevano come a settembre il tasso di disoccupazione sia sceso all’11,8%, mai così basso da gennaio 2013: “Ancora dati Istat positivi. Sono percentuali e numeri, certo, ma sono anche persone, vite, famiglie, destini. Il Jobs Act ha restituito credibilità a livello internazionale, ma soprattutto ha creato opportunità e posti di lavoro stabili. E’ la volta buona, l’Italia riparte”.

I dati sull’occupazione sono da sempre soggetti a letture e interpretazioni diverse, ma in questo caso l’equivoco appare evidente e forse non involontario. Renzi, esaltando il ruolo del Jobs Act come strumento capace di creare nuova occupazione, trascura il dato della disoccupazione inattiva. Non è infatti automatico che al diminuire dei disoccupati crescano gli occupati. Perché i disoccupati presi in considerazione sono solo quelli che ricercano un lavoro e sono iscritti ai centri di collocamento, non quelli che si sono arresi alla disoccupazione (il 35,7%!).

Se questa massa di cittadini attribuisse la stessa credibilità che soggetti “internazionali”, secondo Renzi, attribuiscono al Jobs Act, è pensabile che continuerebbe a coltivare la stessa sfiducia nei confronti del proprio futuro lavorativo restando volontariamente inattiva? Oppure il 35,7% dei disoccupati italiani ha perso le speranze perchè non c’è offerta di lavoro, per lo meno nei settori dove potrebbero spendere le loro competenze?

E’ vero, come rileva l’Istat, che è calato il tasso dei disoccupati in cerca di lavoro ma contestualmente si è verificato l’aumento dei disoccupati inattivi, pari a 53mila unità.
Sono pertanto giustificati i proclami del Governo che parla di ripresa economica a cui si accompagna il calo della disoccupazione, se questo è legato all’aumento degli inattivi? A leggere i dati Eurostat parrebbe di no, nonostante la tempesta di tweets scatenata dagli entusiasti sostenitori di Renzi che richiamano la positività dei dati Istat concludendo con l’ormai classico “ciao gufi”. Ponendo tanto pathos da rischiare di apparire patetici, oltre che guasconi come il loro capo.

Gli osservatori più sereni e non aprioristicamente anti-renziani osservano che una riforma complessa e importante come quella del mercato del lavoro ha bisogno di tempo per entrare a regime e, soprattutto, non si può dare per scontato che produca miracoli. Va testata, tarata in corso d’opera e continuamente verificata.

Niente e nessuno, però, sembra poter scalfire le granitiche certezze di Renzi e dei suoi seguaci, le cui parole d’ordine sono cambiamento e rapidità. Le riforme sono giuste per antonomasia, a prescindere dal loro contenuto e dalle ricadute economiche e sociali che comportano. Il tormento del dubbio è stato proprio di uomini del passato come De Gasperi, Moro e Berlinguer. Le certezze incrollabili e inconfutabili sono oggi appannaggio di Renzi e dei componenti il suo giglio magico

Lascia un commento