La contrada dei carpentieri [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 25/11/2015. La città in pilloleLo spazio antropologico che rischia di essere messo a tacere per sempre. In Le città invisibili di Italo Calvino le tante città possibili hanno a denominatore la precisione dei dettagli e la forma urbana che riconosciamo. Perché la sua complessità è abitata dalle nostre contraddizioni come se la città immaginaria fosse lo specchio di quella reale che ha poche migliaia di anni e che ha gemmato “tutto l’immaginabile”.

L’orizzonte urbano fu infatti da subito abitato da genealogie di persone, di paure, di sogni, di segreti e di codici per rivelarli. Talvolta si ramificano in percorsi, nomi, gerarchie che mutano nei secoli portandosi addosso invarianze spesso casuali. Incagliarsi in queste dà parola, per dirla con Michel de Certeau, al filo strutturale e simbolico che connota lo spazio che è altro dal luogo perché è un luogo praticato e quindi trasformato dall’umanità che lo agisce con pratiche e relazioni quotidiane. Maurice Merleau-Ponty lo chiamerà luogo antropologico e luogo esistenziale.

Che dire di Cagliari? E’ esemplare. Campeggia, come essenza della città, Piazza del Carmine, geometrico luogo ottocentesco ma antichissimo spazio. Lo attraversava Giovanni Spano, spostandosi dal Carmine alla “bella Piazza di San Francesco” in “Contrada San Nicolò”. La chiesa omonima, tra Via Sassari e la piazza oggi occupata da un palazzo, è già luogo geografico nel documento che attesta, nel 1275, l’acquisto dei lotti per costruire la Chiesa di San Francesco.

Le ripartizioni stradali dei lotti, di matrice romana, resistono. La Contrada, abitata secondo Spano dai carpentieri è un vero spazio antropologico. Racconta di maestranze e cantieri romani, bizantini, giudicali, benedettini con i loro suggestivi simboli, francescani.

Convivono nel Chiostro di San Francesco e rischiano di essere messi a tacere per sempre.

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