Siria, Prodi: «Vicini alla Francia senza ripetere l’errore della Libia» [di Maurizio Caprara]
Corriere della Sera 28/11/2015. L’ex premier commenta la possibilità che l’Italia si impegni maggiormente sul fronte siriano: «Lasciamo a Parigi il compito che si è assunta» Il cattolico di centrosinistra ex presidente della Commissione europea ed ex presidente del Consiglio italiano ha girato in ruoli non defilati tra Washington, Mosca, Europa e Medio Oriente almeno da quando era ministro dell’Industria nel 1978 e ‘79. Per l’Onu si è occupato delle missioni di pace in Africa. Dopo il viaggio di giovedì del presidente francese Hollande al Cremlino da Putin, Prodi guarda ai movimenti in corso in campo internazionale come se molto si sia messo in movimento potendo dare alla fase successiva alle stragi del 13 novembre a Parigi sbocchi molteplici e diversi tra loro. Tali da suggerire all’Italia di non compiere mosse affrettate, soprattutto militari, pur di essere protagonista. E di tenersi in raccordo con un altro Paese assai prudente sul bombardare direttamente in Siria: la Germania. Il «cambiamento improvviso» in corso, professore, sarebbe la svolta della Francia da nemica a quasi alleata del presidente siriano Bashar el Assad, insidiato dai guerriglieri integralisti islamici? Comprensibile che l’Italia non si affretti a bombardare l’autoproclamato Califfato se non vede progetti chiari su come poi stabilizzare Iraq e Siria. Ma basterà fornire appoggi ai francesi su altri versanti, compensare i loro trasferimenti di soldati dalla missione internazionale in Libano e fare da tramite con interlocutori difficili per l’Occidente? Uno era la Russia, adesso ci parla Hollande. «Noi siamo già impegnati con truppe in mantenimenti di pace. Trovo saggio il comportamento tedesco, simile al nostro. Noi abbiamo Tornado nello scacchiere del Califfato e siamo impegnati in altri nei quali i tedeschi non lo sono. Possiamo aiutare i francesi in Libano. Però siamo già lì, in Afghanistan, Iraq, Kosovo. E rispetto a Berlino abbiamo una priorità, scontri in Libia ai quali prestare attenzione». Quindi? «Dobbiamo essere vicini alla Francia, ma lasciando alla Francia il compito principale che si è assunta». Ossia bombardare in Siria e tirare le fila di una coalizione per questo. L’incandescenza della Libia e l’attesa di un accordo tra le fazioni in lotta suggerisce all’Italia di tener pronti altri militari oltre ai seimila già all’estero? «Per lo meno di tenere massima attenzione verso il fronte più vicino a noi e di favorire un accordo tra tutte le fazioni. Conosciamo quel Paese e la sua complessità meglio di altri». Non è difficile capire che pensa alla Francia, la prima ad attaccare Tripoli nel 2011. «La solidarietà alla Francia per le stragi subite va data, però non possiamo negare che c’è stato un suo cambiamento di fronte immediato: Assad, da nemico assoluto, è diventato alleato. Il nostro nemico, l’Isis o Daesh, è comune. Tuttavia su un’entrata in guerra non è che si possa aderire a cambiamenti neppure comunicati prima che avvengano con fatti compiuti. La strategia va meditata». Pesa tanto la scottatura libica, l’aver scardinato gli assetti dell’era Gheddafi senza prepararne di migliori? «La scottatura libica pesa tantissimo. Peserebbe forse anche di più se l’Italia non avesse aderito, benché dopo, alla linea francese. Chiaro che l’attuale governo, diverso da quello di allora, non si identifichi con la guerra del 2011». Sull’intesa Putin-Hollande come si comporteranno Stati Uniti e Turchia, diffidenti in modi diversi verso Mosca? «C’è chi dice che gli americani temano un’Europa che si mette d’accordo con Turchia e Russia. Perciò adesso c’è movimento. Gli americani saranno favorevoli a costruire la grande alleanza anti Isis tenendo conto anche dell’Ucraina?». Intende dire se appoggeranno intese con Mosca fino a chiudere un’occhio sull’offensiva russa cominciata in Crimea? «Diciamo fino a essere più flessibili sulle sanzioni a Mosca. È da vedere. La Francia può ricevere gratitudine statunitense perché oggi obbedisce alla dottrina di Barack Obama, secondo la quale i Paesi interessati devono farsi carico dei problemi delle rispettive zone e gli Stati Uniti se ne devono alleggerire. Però l’alleanza di Europa e Russia non è nello schema strategico americano». C’è da sperare che non siano fatti traumatici a decidere l’orientamento degli eventi. «Appunto, occorre dialogare con la Turchia per abbassare le tensioni. Anche per evitare l’episodio drammatico». C’è stato già l’abbattimento turco dell’aereo russo. Ma per l’Unione Europea ha senso tenere aperta la porta alla Turchia mentre Recep Tayyip Erdogan resta così allergico ad appartenenze a famiglie diverse dalla sua? «Il negoziato con la Turchia è destinato a durare a lungo. Va tenuto aperto. Ma da presidente della Commissione favorevole ad aprirlo dissi ai turchi: “Ci vorranno 30 anni”. Mi chiesero: perché? Io: “Perché quando c’era qualcosa di spaventoso mia nonna diceva: “Mamma li turchi’“. Sentimenti cancellabili con la fiducia dovuta solo a lunga vicinanza». |