Sardegna in-felice [di Raffaele Deidda]

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La Sardegna ha dimostrato che sa governare e risolvere i suoi problemi. Le istituzioni sarde hanno saputo esercitare il loro potere legittimo per eliminare una vera e propria servitù dovuta a un’incuria a cui ci si è opposti con determinazione”. Sono le parole dell’assessore regionale dei Lavori Pubblici per la riapertura al traffico a quattro corsie, con un ritardo di tre anni sulla tabella dei lavori (e di otto anni dall’inizio degli stessi), del tratto della strada statale 131 fra i chilometri 32,300 e 35,300 fra Serrenti e Villasanta.

E’ comunque un buon risultato, considerando i tempi biblici dei lavori nella “Carlo Felice”, anche se appare trionfalistico il commento del capo Compartimento Anas in sinergia con l’assessore Maninchedda e il presidente Pigliaru: “Abbiamo raggiunto l’obiettivo di risolvere la principale criticità per la viabilità dell’Isola nel minor tempo possibile”.

Ma tant’è, se lo sblocco di tre chilometri di superstrada fa gridare al miracolo, quali altri prodigi dovremmo aspettarci dalla Giunta dei professori? Il primo, nell’ordine, sarà quello di cambiare nome alla strada statale che collega Cagliari a Sassari e viceversa.

Maninchedda ha proposto di intitolarla a Mariano IV d’Arborea o a Giomaria Angioy. Sarebbe, nelle intenzioni dell’assessore sovranista-indipendentista già democristiano, già sardista e già convinto assertore della bontà delle praterie della destra sarda ai tempi in cui era organico alla Giunta Cappellacci, un evento assolutamente rivoluzionario.

Altro prodigio prossimo venturo il presidente della Giunta Pigliaru lo vede nella rete ciclabile della Sardegna: duemilasettecento chilometri di piste e otto milioni di investimento dal Piano infrastrutture, mirati alla destagionalizzazione del turismo estivo. Ipotesi progettuale aperta anche ai soggetti privati con l’obiettivo di creare occupazione e sviluppo nell’ambito del turismo sostenibile. Tutto bene, tutto utile e interessante ma….e i sardi?

Secondo il Report su povertà ed esclusione sociale presentato dalla Caritas nei giorni scorsi, sono 108mila le famiglie indigenti nell’isola. Solo a Cagliari 7mila persone vivono in povertà assoluta. La Caritas ha precisato che i numeri sono nella realtà molto più alti in quanto “molte persone non conoscono i servizi offerti dalla rete Caritas e tante altre, per pudore, non hanno il coraggio di chiedere aiuto“. Altro che rete ciclabile! E’ davvero così straordinario il risultato dello sblocco del tratto della (già ex?) Carlo Felice se ancora oggi in Sardegna il costo delle opere pubbliche è fra i più alti d’Italia, inferiore solo a quelli della Basilicata e del Trentino Alto Adige, con la spesa quasi doppia rispetto alla media nazionale?

E’ normale che, nonostante questi valori, l’isola non sia riuscita a colmare il grave gap infrastrutturale che si estende a strade, ferrovie, reti bancarie e di distribuzione energetica e idrica, scuole e ospedali? Eppure, come evidenzia la Cna, la Sardegna è stata una delle regioni con la spesa più alta pro capite in infrastrutture (oltre 1.240 euro l’anno per residente contro una media italiana di 764).

E’ in via di risanamento il buco nei conti della sanità? Relativamente ai trasporti, cosa si sta facendo per convincere Ryanair a non abbandonare lo scalo di Alghero che comporta gravissime ripercussioni per tutto il sistema e che, a proposito di destagionalizzazzione, minerebbe l’idea strategico-rivoluzionaria della rete ciclabile sarda? Quali le strategie e le azioni per creare lavoro per i disoccupati e per rioccupare le molte migliaia di lavoratori in CIG e in Mobilità? Quali iniziative per ridare senso e prospettiva al Master and Back? Quale politica industriale s’intende adottare con la Sardegna ormai senza industrie? Quale politica agricola?

Se è vero, come diceva Eduardo De Filippo, che “gli esami non finiscono mai” ciò vale anche per i professori, specialmente quando sono politici. In cattedra ad esaminarli, però, non ci sono altri politici indulgenti per le usuali ragioni di scambio. Ci sono i cittadini che, dopo quasi due anni di governo competente e accademico, ritengono maturo il momento per valutare in base ai risultati nell’amministrare le risorse pubbliche.

Il voto sarà poi assegnato nell’urna elettorale e non è detto che sarà un trenta e lode

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