Sulla libertà di informazione [di Gian Franca Fois]

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Nel 2010 il governo finlandese sanciva l’accesso a internet come diritto legale del cittadino in una forma più prescrittiva rispetto a decisioni simili già approvate in Francia, Estonia e Grecia, per ricordare solo alcuni degli stati che hanno riconosciuto l’accesso a internet come un diritto fondamentale. L’accesso a internet è stato sin dall’inizio considerato come un valore di libertà sia attiva che passiva, il diritto cioè di poter accedere a ogni forma di contenuto presente in rete e il diritto di poter riversare nella rete propri contenuti in modo libero e autonomo.

A parole quindi tutto bene, nei fatti invece i problemi sono notevoli e riguardano naturalmente anche i social network. Tralasciando l’immenso potere economico e culturale di coloro che controllano la rete e i problemi inerenti, mi soffermo su alcuni punti: il diritto alla privacy delle persone entra in contraddizione con il diritto alla libertà di espressione e informazione, con la presenza invasiva delle grandi compagnie come Google, Apple, Microsoft ecc (un articolo apparso sull’Economist qualche anno fa parlava chiaramente di internet non come bene comune ma come proprietà degli stati e delle multinazionali hi-tech), sono inoltre sempre più numerosi i tentativi più o meno evidenti da parte di stati, anche democratici, di imbavagliare la rete e di ricorrere a vecchi e nuovi strumenti di censura.

Secondo l’associazione Freedom House, che ha sede negli USA e che si batte per i diritti dei cittadini nel mondo, negli ultimi 5 anni si è avuta una progressiva restrizione degli spazi liberi della rete anche in paesi democratici come la Francia a partire dalla strage di Charlie Hebdo.

Recentemente è sorto anche il problema del conflitto tra il “diritto all’oblio” e il diritto alla libera informazione. La Corte Europea ha infatti invitato i motori di ricerca a rimuovere dai propri siti i contenuti che possono ledere il “diritto all’oblio” dei cittadini. La BBC in Gran Bretagna ha però rivendicato la supremazia del diritto all’informazione, quando si tratta di notizie di pubblica rilevanza, rispetto a quello dei cittadini che chiedono che il loro passato venga protetto dalla privacy.

A fronte però di un approfondito dibattito su questi aspetti uno spazio irrisorio viene dedicato dagli specialisti ai problemi che riguardano quanti sono vittime della rete, soprattutto chi subisce campagne di delegittimazione, di diffamazione attraverso testi, articoli, blog basati soprattutto sull’invettiva e la calunnia spesso dietro il paravento dell’anonimato o di uno pseudonimo. Vere e proprie campagne di falsificazioni, di accuse infondate nei confronti di una determinata persona o gruppo di persone, insomma un vero e proprio linciaggio mediatico, basato non su dati, fonti, forme di ragionamento, argomentazioni ma su accuse generiche, ragionamenti che risultano fallaci perché partono da premesse false.

Si tratta, almeno in parte, di una novità, infatti ad esempio i giornalisti della carta stampata vengono chiamati a rispondere di quanto pubblicato e possono addirittura ricevere denunce preventive (palesemente intimidatorie). Da tempo i giornalisti perciò si battono per far approvare dal parlamento una legge che metta fine alle denunce preventive considerate gravemente lesive dell’autonomia e indipendenza dei giornalisti.

Sul web invece chiunque può pubblicare, raggiungendo un numero grandissimo di lettori, e anche gli stessi tecnici che discutono sulla libertà di espressione in internet danno pochissimo spazio per la difesa di chi viene calunniato in rete. E’ un problema complesso, difficile da affrontare, la linea di divisione tra libertà di espressione e diffamazione è infatti sottile e incerta da tracciare.

Sicuramente l’anonimato è necessario quando si tratta di dissidenti o rifugiati che criticano il proprio regime e che non potrebbero pubblicare col proprio nome e cognome per non incorrere in persecuzioni, arresti per sé e per i propri cari ma, come propongono alcuni, sarebbe possibile ricorrere a un anonimato protetto, nel senso che chi interviene in modo anonimo, fornisce il suo nome a chi gli permette l’accesso. Solo in casi estremi si potrebbe arrivare al nome, magari per intervento dell’autorità giudiziaria.

In questo modo però si tratterebbe di svelare quei nomi e profili a società come Facebook, Google ecc, che possono così segnalarli al mercato pubblicitario o ai governi o ai diversi poteri per intervenire nei confronti di chi critica e denuncia abusi, corruzione ecc.. Come si vede il mondo di internet mette problemi nuovi che richiedono nuovi metodi e nuove strategie sia da parte delle istituzioni sia da parte di quanti vi partecipano attivamente sia da parte della società civile.

Il costituzionalista Rodotà propone di arrivare a una Carta di autoregolamentazione in continuo divenire elaborata dalla pluralità di attori interessati, forse sulla falsariga della Carta di Roma (trattamento delle informazioni su migranti, richiedenti asilo), della Carta di Treviso (trattamento delle informazioni sui minori). Ricordo che una soluzione simile era stata proposta anni fa dal filosofo Popper per quanto riguarda la televisione, i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

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