Diga di Mosul, gli interessi in gioco e l’impegno italiano [di Barbara Ciolli]

Diga mosul

Lettera 43 del 18 dicembre 2015. Roma manda 450 soldati a difesa della diga. E di un appalto da oltre 2 miliardi, voluto dagli Usa. Nonostante i rischi per la sicurezza, in un’area in mano all’Isis.

Per il direttore iracheno della diga di Mosul, Riad Ezzeddine, gli allarmi sono “tutte chiacchiere”, le condizioni dell’impianto sarebbero “molto buone”. I curdi che nel 2014 hanno sottratto la barriera artificiale all’Isis dicono invece che il “collasso è imminente” e che Baghdad se ne deve occupare al più presto. Di certo la diga che sbarra per 3 chilometri il corso del Tigri per portare elettricità nel Nord dell’Iraq ha bisogno da tempo di grandi riparazioni.

Un appalto da 2 miliardi. L’appalto di oltre 2 miliardi di euro, andato infine al colosso ingegneristico italiano Trevi, è in ballo dalla caduta di Saddam Hussein. Gli Usa (dove la controllata del gruppo di Cesena Trevi, Icos Corporation, è aggiudicataria di molte grandi commesse, non ultima la ricostruzione del World Trade Center) spingono da anni per aprire un maxi cantiere sulla diga. Nel 2011 la Trevi, complice una lunga mediazione della Farnesina, era in trattativa per lavori di almeno sei anni, insieme alla tedesca Bauer. Ma poi è esplosa la Primavera araba, si è aggravata l’instabilità in Iraq, è venuto l’Isis.

La guerra per l’acqua. Anche al Baghdadi punta alla sua guerra dell’acqua: i jihadisti del Califfato hanno subito tentato di impossessarsi delle dighe sul Tigri e sull’Eufrate. Nel 2013 l’Isis ha prima messo le mani sull’impianto di Tagba, in Siria (la più grande diga al mondo), e su quello di Falluja (poi riconquistato dagli iracheni). Infine l’assalto alla diga di Mosul e la battaglia per Haditha, tra Siria e Iraq. Per presidiare i lavori di Trevi, da gennaio 2016 l’Italia manderà 450 soldati sul Tigri a 40 chilometri da Mosul che è la capitale irachena dell’Isis. Il contingente a Mosul si aggiunge ai 750 italiani della missione Prima Parthica, schierati tra Erbil (nel Kurdistan iracheno) e Baghdad con funzioni prevalentemente di addestramento. “Metteremo i nostri uomini insieme agli americani e sistemeremo la diga”, ha chiosato Renzi. Il ministero della Difesa si è affrettato a precisare che dovranno solo “proteggere il cantiere”. Ma è lampante che dovranno operare in una zona strategica ad altissimo rischio, nel mirino dei terroristi islamici.

Raid incrociati contro l’Isis. Mosul è target dei raid incrociati contro l’Isis, i peshmerga curdi sono da anni impegnati in una guerra di posizione: hanno riguadagnato la diga, ma non sono mai riusciti a liberare la metropoli. Tra Siria e Iraq, oltre ai nuovi rinforzi delle unità speciali degli Usa, sono in arrivo 1.200 militari tedeschi e a presidio di Mosul sono di recente entrati 1.200 soldati turchi: un discreto flusso di boots on the ground, gli stivali sul campo che a parole nessuno vuole. Per il magazine specializzato Analisidifesa.it, si tratta dello ”ennesimo obolo che l’Italia paga all’alleanza con Washington”.

50 Milioni annui di spesa. Una missione in “ambiente ostile, non lontano dalla prima linea del fronte iracheno che corre a non più di 15 chilometri di distanza”, a proteggere la diga verrebbe inviato, non a caso, un “battaglione di paracadutisti della brigata Folgore, unità di pronto impiego per le emergenze da tempo in preallertata per un possibile intervento in Libia”.

Secondo gli analisti militari, il contingente italiano a Mosul comporterà un “costo stimabile in almeno 50 milioni annui, senza contare le spese logistiche per schierare mezzi, armi ed elicotteri”. In difesa della diga e del cantiere sarebbero stati “più che sufficienti i peshmerga curdi, o truppe irachene affiancate da contractor”. L’Isis ha dichiarato guerra all’Occidente e gli italiani si espongono come bersaglio fisso di attentati. A dicembre i jihadisti sono tornati all’attacco della diga, uccidendo sei peshmerga, e nei villaggi vicini avrebbero diverse protezioni.I costi della missione poi non sono irrilevanti, ma ne va di una commessa miliardaria e anche dell’accordo politico con gli Usa.

La versione degli americani è che la diga eretta da Saddam nel 1983 – la più grande dell’Iraq e la quarta per riserve idriche in Medio Oriente – sia sul punto di crollare, innescando una catastrofe epica: gli oltre 11 chilometri cubi di acqua, secondo un rapporto firmato Us Army Corps of Engineers del 2004, inonderebbero Mosul con un’onda di piena di 20 metri, entro tre giorni anche Baghdad sarebbe allagata.

Struttura vulnerabile. Più della metà dell’Iraq cancellato: 500 mila morti, l’economia distrutta, per il Pentagono la “diga più pericolosa del mondo”. Dal 2003 gli Usa hanno investito più di 30 miliardi in manutenzione nell’infrastruttura che l’Isis brandisce oggi come un’arma di distruzione di massa. Nel 2011 anche il governo iracheno riteneva necessari i lavori e trattava con gli occidentali, e cinque anni dopo snche l’appalto di Trevi ha avuto di sicuro il via libera di Baghdad. La diga starebbe in piedi grazie ai rinforzi di migliaia di tonnellate di cemento e negli ultimi mesi, stando ad alcuni ingegneri dell’impianto, “sarebbe diventata più vulnerabile”.

Trevi in Medio oriente. Non deve essere per niente semplice appaltare i lavori nella zona e le autorità non vorranno seminare panico. Ma perché, se le conseguenze sono così estreme, il governo non ha mandato sul posto tecnici iraniani e russi, loro diretti alleati? Nel 2008 Trevi, leadermondiale nel know how del settore, fornì alle compagnie irachene impianti di perforazione del suolo ed è attiva da decenni in Medio Oriente: ha costruito il porto di Bandar Abbas in Iran, prima della rivoluzione islamica, e attraverso una controllata opera negli Stati del Golfo Persico. Ha inoltre realizzato infrastrutture e dighe in Nigeria, Algeria, negli Stati Uniti e in Cina. Nel 2015 si è aggiudicata nuove commesse in Egitto e in Kuwait.

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