Sardegna, è già domani [di Nicolò Migheli]
Ci fu un consigliere regionale del centrodestra sardo che, l’anno scorso, durante le discussioni sulle modifiche al PPR ebbe a dichiarare che “l’ambiente è dinamico,” modificabile secondo le esigenze degli interessi e della politica. La catastrofe di lunedì 18 novembre ha dimostrato quanto l’intervento dell’uomo possa indurre cambiamenti che poi si pagano a carissimo prezzo. Secondo uno studio della Confederazione Italiana Agricoltori dal 1861 le aree rurali sono diminuite di dieci milioni di ettari. Dati del 2011. Dieci milioni di ettari sono una superficie pari all’Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, la Lombardia, il Piemonte messi insieme. Dai 22 milioni di ettari disponibili nel 1861 si è passati ai 12 milioni circa, di oggi. Negli ultimi dieci anni, si sono persi un milione e novecentomila ettari, una superficie pari all’intera regione del Veneto. Nell’incontro: “Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione,” organizzato dall’allora ministro delle politiche agricole Mario Catania il 24 luglio 2012 vennero presentati numeri raggelanti. Cento ettari al giorno “impermeabilizzati,” coperti da costruzioni: case, casette, condomini, capannoni, strade, discariche, ville e villette, torri eoliche e fotovoltaico a terra. Dati che se paragonati all’incremento demografico mostrano tutta la loro assurdità. Dal 1950 ad oggi la popolazione è cresciuta del 28%, la cementificazione del 166%. La superficie persa riguarda i seminativi e i pascoli, i luoghi in cui vengono coltivati e allevati i prodotti base della nostra alimentazione: grano, riso, verdure, frutta, olio, latte e carne, che oggi debbono essere importate. Il 1950 è l’anno della cesura, comincia l’abbandono delle campagne lasciate inselvatichire per la assenza dell’uomo che da sempre le aveva curate, prevenendo e mitigando i disastri ambientali. Dopo è prevalsa una cultura di estraneità alla natura. Il dominio di uno scientismo mal inteso che unito alla assenza di regole, ci ha portato a stravolgere ritmi millenari. Abbiamo creduto che potessimo sfruttare la terra fino a desertificarla, che potessimo deviare i corsi dei fiumi, coprirli di cemento. Siamo diventati senza memoria mentre gli eventi naturali ce l’hanno. Abbiamo avuto una fiducia che la scienza e il “progresso” da essa procurato, fosse l’unico farmacon possibile. Che ogni guasto verrà sanato, che niente è definitivamente compromesso. Ci sorprendiamo, poi se la Natura si rivolta, se alla fine la nostra hybris ci rivela il nostro limite. Siamo Prometei scriteriati, dimentichi dell’etimologia di quella parola: “colui che riflette prima.” Noi riflettiamo dopo- quando lo facciamo-, sui cadaveri dei sacrificati, sul suolo sconvolto, sulle città stravolte, sulla disperazione di chi ha perso tutto. Pronti a dimenticare, condannati alla coazione a ripetere, a scaricare in campagna le immondizie. Il lato speculare dell’abbandono è stato il sorgere, anche da noi, di un ambientalismo radicale, di origine statunitense, innamorato della wilderness, manco fossimo l’Alaska, dimentichi che in Europa e in Sardegna non esistono ambienti simili, che da millenni l’uomo convive con esso e lo cura. Una linea di pensiero che ha criminalizzato ogni intervento sui greti dei torrenti con il taglio di qualche albero, di pulizia del sottobosco. Gli incendi devastanti delle nostre estati sono anche la conseguenza di simili posizioni culturali che hanno finito per segnare leggi e regolamenti. Eppure il 16 di novembre sarà una data di cambiamento. Oggi fatichiamo a rendercene conto, ma le vittime, l’ampiezza del disastro sono l’Apocalisse, la rivelazione. In quel fango sta crescendo una nuova consapevolezza, centinaia di volontari, giovani sotto i trent’anni, hanno avuto una formazione civile e politica unica. La Sardegna si è riscoperta popolo, le donazioni hanno superato il bisogno. Lo stesso atteggiamento verso l’ambiente è cambiato se in molti cominciano a chiedersi se la propria casa è sicura, se si trema quando c’è un temporale o quando si attraversa un ponte. Quel disastro è la nostra Fukushima, come sostiene una mia amica. Si è persa l’innocenza, se mai c’è stata. Asciugate le lacrime comincerà la ricostruzione e il tempo della proposta. Giovedì 28 novembre a Cagliari nel teatro Massimo dalle ore 9: 00 alle 18:00, si terrà il Convegno Nazionale del FAI “Sardegna Domani!”. Voluto da Giulia Maria Crespi, fondatrice del Fondo Ambiente Italiano, col coordinamento scientifico di Maria Antonietta Mongiu, sarà l’occasione per riflettere con tecnici, operatori, giornalisti, donne e uomini di cultura. Un confronto su terra, agricoltura, artigianato, accoglienza, tecnologie. Sarà un momento in cui ritrovare il legame antico con la nostra Madre Terra, riscoprire i nostri saperi, immaginare un futuro possibile. Perché è già domani, e nessuno potrà allontanare da sé la sua responsabilità. Il 18 novembre ci ha fatto scoprire che non siamo un popolo bambino, appeso solo alle rivendicazioni. La Sardegna ce la farà. Come sempre. |