Contro la politica del frammento, dell’egoismo e della confusione [di Silvano Tagliagambe]
Vittima di una catastrofe imprecisata, una certa società si trova a poter disporre esclusivamente di libri strappati, pagine bruciacchiate, pezzi di strumenti, brandelli di teorie, residui e relitti di quello che in un tempo lontano e non più ricostruibile dalla memoria è stata una conoscenza sistemica, vasta, organica e ben strutturata. Ciò che gli uomini del presente possono fare è ricomporre questi frammenti in un insieme di pratiche che vanno sotto i nomi riesumati di «fisica», «chimica», «biologia» e via elencando. Gli adulti discutono fra loro sulle evidenze rispettive e sulle prove e gli argomenti a sostegno della teoria della relatività, dell’evoluzione e del flogisto, pur avendo di ciascuna di esse una conoscenza molto parziale e indiretta. I bambini imparano a memoria le parti superstiti della tavola degli elementi e recitano come formule magiche alcuni teoremi di Euclide. Nessuno, o quasi nessuno, si rende conto che ciò di cui si stanno occupando non ha nulla a che fare con la scienza naturale in qualsiasi significato legittimo del termine. Possiamo definirlo un mondo in cui il linguaggio della scienza naturale, o almeno di una parte di esso, continua a essere usato, ma sotto il profilo teorico è in uno stato di disordine e confusione. Questa è la metafora che Alasdair MacIntyre propone nel primo capitolo del suo libro Dopo la virtù, cercando di immaginare come si comporterebbero gli uomini in questo mondo possibile e che uso farebbero dei frammenti rimasti per tentare di imbastire un nuovo discorso. Il risultato di questa immaginazione è però meno lontano dalla realtà di quanto si possa pensare. Abbiamo davvero a che fare con frammenti, con una scomposizione non provocata da alcuna catastrofe originaria, bensì da una concentrazione sul particolare che sta facendo perdere di vista il generale. I grandi temi che dovremmo affrontare sono, ad esempio, sul piano dei rapporti con la natura quello dell’energia, la descrizione dell’interazione tra oceani, terra e atmosfera al fine di predire in termini il più possibile accurati variazioni climatiche dovute all’effetto serra e, a livello sociale, il lavoro che manca sempre più, l’analfabetismo di ritorno, un sistema scolastico sempre più fragile a causa dei colpi che gli vengono inferti da politiche dissennate, il destino dei giovani, la crescente difficoltà di imbastire un dialogo produttivo e solidale tra diverse generazioni da cui scaturisca una reale comprensione dei rispettivi problemi e disagi. La politica che ci viene proposta oggi queste questioni le frammenta, le spezzetta, le tritura, le frulla, le scompone e le ricompone in modi improbabili e privi di logica, proprio come le vittime della catastrofe di Macintyre, che non riescono a vedere il contesto, l’insieme e i nessi reciproci tra i problemi che devono affrontare e maneggiano dettagli privi di senso. Il risultato è uno scimmiottamento, in presenza del quale è inevitabile che tratti fondamentali dei temi di cui occuparsi passino del tutto sotto silenzio, e non vengano neppure percepiti, proprio come se non ci fossero. Lo sforzo teorico di costruire un discorso che prescinda da quel che non si riesce a vedere li relega sempre più nell’ombra, oltre il cono luminoso della ragione. La conseguenza di questa catastrofe della politica è che sulla scena pubblica diventa dominante l’ostinazione – quella violenta dei potenti e quella disperata degli impotenti – con la quale si supplisce alla mancanza di ragioni. Se questa è la natura della situazione in cui ci troviamo per capire come si possa procedere, da dove ripartire, o su cosa puntare, occorre prendere atto dello stato di disordine e confusione in cui si trova il linguaggio e lavorare sulla forma di cui il senso si riveste diventando lingua, individuando le parole che sono necessarie per esprimere le domande che ci stanno realmente a cuore. Bisogna quindi prendere avvio da un nuovo lessico della politica che ricostruisca e ridia significato e valore ai nessi perduti, alle relazioni smarrite, cominciando da quella originaria e fondamentale, che caratterizza la natura umana, che è e non può che essere, come sottolinea Ida Soldini dialogando proprio con Macintyre[1], la singolarità e la dipendenza. La singolarità reale, ricca di tutte le sfumature che costituiscono l’identità di una persona, l’unicum umano; e la dipendenza reciproca, quella senza la quale nessun bambino potrebbe andare oltre le poche settimane di vita, nessun maestro potrebbe insegnare e nessun discepolo imparare, nessun lavoro potrebbe essere svolto, nessun ordinamento politico o sociale potrebbe mai reggersi. Nella definizione di ciò che è la persona umana singolarità e dipendenza sono intrecciati tanto strettamente e così indivisibili da formare un’endiadi, figura retorica che consiste nell’utilizzo di due o più parole (in questo caso singolarità e dipendenza, appunto) per esprimere un unico concetto (quello di persona). Lo si diceva già nel “Piano strategico della città di Cagliari”, di cui recentemente, nel sito di Vito Biolchini, Franco Meloni[2] ha sottolineato il significato e l’attualità, osservando che il rilevante lavoro fatto per elaborarlo “è stato in gran parte sprecato, seppure resta disponibile un’interessante documentazione,fruibile sul sito web del Comune”[3]. Nella parte di quel piano dedicata a “Capitale sociale, creatività, coesione”, da me redatta, mettevo in evidenza l’esigenza, per la politica, di procedere alla costruzione di quello che chiamavo “spazio della prossimità socio-culturale”, che presuppone unelevato livello di interazione intersoggettiva, la creazione di uno sfondo comune e di un clima di confidenza e fiducia reciproca, la costruzione di una cultura civica. E individuavo il collante di questa cultura nei cosiddettibeni relazionali, i quali, a differenzadi un bene privato, che può essere goduto da solo, e a differenza, altresì, di un benepubblico, che può essere goduto congiuntamente da più soggetti, presentano unaduplice connotazione. Per quanto attiene il lato della produzione, essi esigono lacompartecipazione di tutti i membri di una determinata comunità o organizzazionesociale, senza che i termini della compartecipazione siano negoziabili. Relativamente al lato del consumo, accade che la fruizione di questi beni nonpuò essere perseguita prescindendo dalla situazione di bisogno e dalle preferenze deglialtri soggetti, perché il “rapporto con l’altro” è costitutivo dell’atto di consumo. Consegue da ciò che nella fornitura di un bene relazionale, la comunicazione divienel’elemento chiave. La prestazione di beni relazionali diventa ottimale quanto più è la conseguenza di ciò che accomuna, quanto più cioè essa è il risultato di uno sfondo condiviso di senso, di obiettivi e di valori. Per la propria specifica natura, il bene relazionale è pertanto tale da favorire il crearsi e consolidarsi di relazioni basate sullo scambio dialogico, sull’affidabilità reciproca, e dunque sul mutuo sostegno e sulla coesione. I beni relazionali sono quelli il cui valore aumenta con la diffusione e la condivisione: l’amicizia, la fiducia, il senso civico, la giustizia, la partecipazione, la conoscenza. Sono quelli che arricchiscono la terra in cui si vive, che ci fanno sentire in pace con noi stessi e con gli altri, che sono il risultato dell’incremento del livello di istruzione di una comunità, che se posseduti e praticati concretamente e non solo proclamati retoricamente possono garantire, attraverso il potenziamento dei servizi collettivi alla persona, un lavoro, che irrobustiscono e diramano la solidarietà. È in nome di questi valori e per promuovere questi beni che, con alcuni amici, abbiamo deciso di costituire l’associazione culturale e politica Terra di pace e abbiamo scelto di affidarne la presidenza a don Ettore Cannavera, che se ne è fatto interprete e testimone per tutta la vita. Lo facciamo contro la politica del frammento, dell’egoismo e della confusione e nella speranza che la vita delle giovani generazioni non sia fatta soltanto di libri strappati, di pagine bruciacchiate, di pezzi di strumenti, di brandelli di teorie, di residui e relitti di quello che, in un tempo non lontano, è stata una politica sistemica, vasta, organica e ben strutturata. [1] Ida Soldini. «Dopo la catastrofe: dialogo con Alasdair MacIntyre ovvero Le ragioni per cui un filosofo potrebbe utilmente leggere Freud (con Lacan)». Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 9 (2007), disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [69 KB], ISSN 1128-5478.
[2] “A Cagliari il mare come strategia di sviluppo per sbloccare e liberare la città. Ma occorre una diversa classe dirigente”, di Franco Meloni
[3] Piano strategico Cagliari: http://www.comune.cagliari.it/portale/it/terrirtorio_areavasta.page |