l sistema del credito. Sofferenze e fragilità [di Federico Fubini]

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Corriere della Sera 19 gennaio 2016. Se c’è una lezione che lasciano questi anni, essa riguarda in primo luogo le dinamiche dell’instabilità. Quella di questi giorni sulle banche è una frazione infinitesima dell’esperienza vissuta dall’area euro nel 2011 o nel 2012.

Ma i suoi ingranaggi hanno almeno un punto in comune con allora: il contagio finanziario attacca dove percepisce che gli anticorpi della politica sono diventati più deboli. Quando è così, basta un grido d’allarme per innescare una grande fuga verso la porta d’uscita del mercato italiano. Poco importa che alla base ci sia il rischio di un equivoco, reso ancora più intrattabile dalla difficoltà di chi investe a capire cosa stia accadendo fra Roma e Bruxelles e esattamente su quale rotta sia fissato il timone.

Ieri l’allarme è scattato quando si è diffusa una notizia che probabilmente in altri momenti non avrebbe quasi prodotto sussulti. I mercati hanno registrato la notizia, segnalata dal «Sole 24 Ore», che la Banca centrale europea ha inviato un questionario sui crediti inesigibili agli istituti di credito. Molti vi hanno letto l’intenzione dell’autorità di vigilanza di Francoforte di preparare una stretta e obbligare le banche a nuove svalutazioni nei propri bilanci. Questo del resto è esattamente il nervo scoperto nel confronto sulle banche fra il governo italiano e la Commissione europea di Bruxelles.

È uno dei grandi problemi dell’economia italiana, rimasto sotto i radar finché le norme europee lo hanno reso bruciante perché i risparmiatori ora perderebbero denaro in ogni salvataggio pubblico di una banca. In Italia i crediti inesigibili degli istituti superano di poco i 200 miliardi di euro di valore teorico (più altri 150 miliardi circa di crediti «deteriorati», ma non ancora ufficialmente in insolvenza). Poiché le perdite eventuali su questi prestiti sono coperte in media con accantonamenti di risorse per circa il 57%, le banche italiane valutano di poter recuperare circa 86 miliardi su 200 prestati. È su questa base che stimano il loro bilancio e il loro capitale. La stessa Bce ha validato questi numeri negli esami dei principali istituti conclusi appena due mesi fa.

La Commissione europea ha una posizione diversa: sospetta un aiuto di Stato e dunque impone di colpire i risparmiatori se una banca cede un credito deteriorato a un prezzo sopra quello di mercato di stamattina, che è a meno della metà dei valori di bilancio; lo sospetta, ovviamente, se da qualche parte c’è una garanzia pubblica come rete di sicurezza per il compratore. La via suggerita dalla Commissione europea porterebbe dritta a un colossale, ingestibile buco di oltre 40 miliardi nei bilanci delle banche, se queste volessero liberarsi in fretta dei prestiti in default che le zavorrano e le logorano. Su questo punto Bruxelles si è dimostrata inamovibile.

Ma il governo di Roma in compenso non è mai riuscito a spiegare le ragioni (che ha) in modo convincente, ed è entrato in una spirale di ritorsioni verbali che reso la Commissione ancora più diffidente. Ogni scambio di battute al vetriolo di Matteo Renzi a Roma e Jean-Claude Juncker a Bruxelles non fa che alimentare la paralisi.

È in questo labirinto che sono piombate ieri le voci sull’iniziativa della Bce. Se davvero la Banca centrale imponesse nuove svalutazioni di quei crediti in default, avvicinandole ai prezzi di mercato, molti istituti registrerebbero perdite importanti e sarebbero costretti a raccogliere nuovo capitale per poter andare avanti. Non è un caso se ieri in Piazza Affari sono caduti di più i titoli di banche con più crediti in default, Montepaschi o Banco Popolare.

Fin qui la lettura del mercato. Questa volta però gli investitori rischiano di essersi spinti troppo avanti. A Francoforte si sottolinea che il Consiglio di vigilanza della Bce non ha mai discusso una stretta sul valore dei crediti in default delle banche. A quanto risulta, il questionario mira soprattutto a capire come le banche stiano gestendo i debitori insolventi e a spingerle ad adottare le migliori soluzioni tecniche. Certo, precisa un portavoce della Bce, all’Eurotower è stata creata una task force su questo problema perché «i prestiti deteriorati sono un’area su cui ci concentreremo nel 2016».

Non c’è altro. Se non una lezione sempre attuale: nessun investitore si butta dall’auto in movimento dell’economia italiana, se pensa che sia guidata in modo da scansare gli scontri più evitabili.

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