La casa di Ghilarza di Antonio Gramsci è diventata “edificio storico di interesse culturale” [di Umberto Cocco]

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Finalmente la casa di Ghilarza di Antonio Gramsci è un museo riconosciuto dallo stato, letteralmente “edificio storico di interesse culturale”. Il Soprintendente di Cagliari Fausto Martino ha firmato ieri il decreto e lo ha comunicato alla Fondazione Berlinguer proprietaria dell’edificio, e agli eredi Gramsci e Paulesu che insieme avevano presentato istanza.

Ora in pratica gli eredi (di Gramsci e del Pci) mettono nelle mani dello stato la casa, gli oggetti e gli arredi dell’abitazione dell’infanzia e dell’adolescenza del grande intellettuale, alcune sue lettere, articoli, libri, una notevole biblioteca e un patrimonio di opere d’arte formatisi negli anni, dopo che il Pci acquistò la casa lungo il corso di Ghilarza e la gestì con l’apporto di propri militanti, e insieme alla figlia di Teresina Gramsci, Diddi Paulesu, ai fratelli Manca, Lino e Italo, e Antioco Porcu segretario della vicina sezione del Pci.

Fu per alcuni decenni da allora Ghilarza – e quella casetta a un piano a fianco al tabacchino di Italo Manca appunto, che ci gettava un occhio… – un luogo di cultura in Sardegna ma aperto al mondo, per l’interesse a Gramsci che stava crescendo anche in lidi lontani, per la passione con cui si mossero un gruppo di influentissimi milanesi del giro di Einaudi (i curatori delle Lettere e dei Quaderni, Elsa Fubini e Valentino Gerratana, il direttore delle libreria Einaudi in galleria Manzoni, Vando Aldrovandi, fondatore della Casa della cultura, l’allora vicesindaco sempre di Milano Elio Quercioli, che aveva sposato una seconda figlia di Teresina, Mimma), gli intellettuali del Pci e un pezzo di cultura italiana non ostile, Giulio Carlo Argan, Massimo Salvadori. Tennero concerti a Ghilarza Severino Gazzelloni, Uto Ughi, Salvatore Accardo, Maria Carta.

Sono passati a Ghilarza a onorare la memoria di Gramsci prima di Napolitano presidente della Repubblica, Pertini, Nilde Iotti, Ingrao. La casa la ristrutturò l’architetta Cini Boeri, muratori e manovali campidanesi, d’importazione, davano giornate di lavoro volontario, come usava nel Pci diretto allora in federazione a Oristano da Tonino Uras.

Ma non fece breccia nel paese bigotto e conservatore quella attenzione e quella proiezione. Qualcuno anche del Pci regionale trovava vagamente coloniale l’interesse dei milanesi, venne avanti il discorso del “Gramsci sardo” che di lì a poco si sarebbe trasformato nel corto respiro del localismo, del settarismo, sinché dal Pci (alla fine del Pci) la Casa Gramsci si è trovata poco meno che in abbandono dagli anni ’90, con poche, sporadiche iniziative di una corrente di Rifondazione comunista finanziata dalla Regione, l’edificio senza più manutenzioni, con la proprietà gestita dall’amministratore dei beni dei Ds (Sposetti) da lontano, da Roma.

Certo, con i ghilarzesi indifferenti, spesso ostili. Si concessero negli anni ’70 un’amministrazione comunale con sindaco del Pci, ma quando a questi venne in mente di intitolare a Gramsci il corso del paese, gli imposero di tornare indietro, non se ne fece niente, delibera revocata. Insieme, commercianti, cattolici conservatori, si mettevano paura a sentire il nome del fondatore e deputato del Pci, incarcerato, nonostante l’onore che lui e poi in dimensione locale anche la famiglia, la sorella, i nipoti, hanno dato al paese con studi e carriere di prestigio, anche riscattando l’incidente nel quale incorse il padre impiegato a Sorgono, condannato al carcere per una sottrazione di fondi.

Così una nuova stagione era necessaria, e ci si sono messi la Fondazione Berlinguer che ha sostituito Sposetti nella proprietà, una presidente dell’Associazione Casa Gramsci, Emanuela Uselli, nel tempo che le si è lasciato prima di farla dimettere, un Comitato Gramsci di Ghilarza che si è mosso in questi mesi prendendo iniziative insieme a SardegnaSoprattutto, riaprendo il dibattito su Gramsci e la religione, presentando il libro di Giorgio Fabre (“Lo scambio. Come Gramsci non fu liberato”, Sellerio), sulla fiducia nel Vaticano che l’intellettuale sardo coltivava in carcere, e poi organizzando un dibattito con Adriano Prosperi, Silvano Tagliagambe, Andrea Oppo, Maria Antonietta Mongiu programmandone altri con Giuseppe Vacca a Cagliari e Ghilarza, Luciano Canfora a Cagliari a maggio, Adriano Prosperi al liceo di Ghilarza fra qualche settimana.

La Fondazione Berlinguer con la famiglia Gramsci Paulesu e l’Istituto Gramsci di Roma, insieme alle associazioni e al Comune (se deciderà di starci, dopo le titubanze) daranno vita a un soggetto che farà della casa di Ghilarza un polo culturale al centro di una rete sul modello dei parchi letterari, con tutti i luoghi cari a Gramsci per esservi nato (Ales), o aver vissuto periodi della sua formazione (Sorgono, Santulussurgiu, Cagliari).

Arriverà prima o poi anche una strada a suo nome, dopo che saranno esauriti i nomi di tutti coloro che sono stati parroci e vice. Il generale Carlo Sanna ha una via intitolata a Ghilarza, lui, di Senorbì, comandante della Brigata Sassari e diventato primo presidente del Tribunale speciale fascista, che solo per caso non ha condannato il deputato sardo, perché toccò al suo sostituito Alessandro Saporiti.

Basterebbe leggere Gramsci, farlo leggere a scuola, forse ricordare che le Lettere dal carcere vinsero il Premio Viareggio nel 1947, per togliere qualche ombra, dalla mente dei ghilarzesi. Trattatelo almeno come uno scrittore, ci pensa il resto del mondo al Gramsci intero, ricchissimo, complesso. E per impulso di altri prima o poi verrà in mente ai ghilarzesi recalcitranti che Ghilarza «è una delle capitali morali dell’Italia», come ha detto Adriano Prosperi, e scritto recentemente su Left.

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