L’antica Calares e i luoghi comuni [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 3/02/2016. La città in pillole. La soggettività delle Civitates locali oltre gli stigmi etnocentrici. A Roma i termini civitas e urbs avevano differenti significati. Il primo definisce la dimensione giuridica di quanti godevano della cittadinanza romana, pochi per secoli e dal 212 d. C. tutti. Significa anche comunità di cittadini, senza distinzione di classe; e insediamento non urbano, con una connotazione spesso etnica.

Urbs è il costruito che pratiche urbanistiche e simboliche, connesse alla fondazione, distinguono dall’infrastrutturazione delle terre incognite extraurbane. Templi, terme, domus, acquedotti, ponti, strade sorgevano in città e in campagna, intensamente almeno fino ad Adriano, imperatore dal 117, referente di equilibri, territoriali e culturali.

Il senso dell’urbano era racchiuso tuttavia in un gesto rurale: un solco (pomerium) che Romolo avrebbe tracciato con l’aratro. Tabù oltrepassarlo con le armi o seppellire al suo interno. Cesare infranse il primo e i Cristiani, per il primato dell’agostiniana Civitas Dei, il secondo.

In Sardegna, romana dal 238 av. C., la persistenza di preesistenze, specie nuragiche, e il loro riuso diedero vita a inusuali soluzioni urbanistico-architettoniche e costruttive che fanno piazza pulita della pretesa impenetrabilità dell’isola per riaffermare la soggettività delle Civitates locali, ben oltre gli stigmi etnocentrici.

Le Civitates Barbariae, indomite e irriducibili nella percezione, in un’iscrizione di Fordongianus rendono omaggio ad Augusto a prova che la Sardegna era più complessa degli schematismi storiografici.

Nello scontro tra Cesare e Pompeo, Carales si schierò col primo e Sulcis col secondo. La vittoria di Cesare darà a Carales la condizione di civitas libera e ai suoi abitanti la cittadinanza romana. Che si siano decisi allora i luoghi comuni sulla presunta alterità tra Cagliari e la Sardegna?

*Foto: Tavola bronzea di Esterzili

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