La firma delle Mukhabaràt sulla scomparsa dello studente italiano [di Alessandro Columbu]

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Un altro, l’ennesimo, paragrafo inglorioso di quello che è stato definito come l’inverno arabo. Semmai ce ne fosse bisogno, la tragica scomparsa di Giulio Regeni, ventottenne dottorando dell’Università di Cambridge, getta ulteriori ombre sul regime militare fascista, autoritario, e paranoico del Generale El-Sisi, giunto al potere nel 2013 dopo il colpo di stato contro Muhammad Morsi, leader dei Fratelli Musulmani. È un’altra pagina oscura della restaurazione in atto in Egitto sin dall’ascesa del poco carismatico generale, e del più ampio contesto di contro-insurrezione che sta attraversando il Medio Oriente arabo e che ha trascinato la regione in un vero e proprio inferno per difendere i privilegi delle élites militari e politiche dall’ondata di proteste e rivoluzioni.

Non è certo la prima volta che un ricercatore o un giornalista viene brutalmente assassinato in Egitto, o in posti cosiddetti caldi. Il ricordo della dolorosa perdita di un attivista così coraggioso e appassionato come Vittorio Arrigoni, brutalmente assassinato a Gaza nel 2011, è ancora vivo nella memoria. All’apprendere dell’assassinio di Giulio, come accadde con Vittorio, abituati come siamo a guardare quella parte del mondo col nostro Orientalismo inguaribile, abbiamo istintivamente pensato ai fantomatici “terroristi”. Quelli di Hamas che lanciano razzi contro Israele, o quelli dell’ISIS che tagliano la testa ai giornalisti occidentali, o bruciano vivo il malcapitato pilota giordano.

Con buona pace degli orientalisti i terroristi alla Bin Laden con la barba e il turbante non c’entrano un bel niente in questa tragedia. Il terrorismo in questo caso è terrorismo di stato. Quelli con l’uniforme militare e sono “amici dell’Occidente” come El-Sisi, quelli in giacca e cravatta che distruggono intere città e gasano la popolazione con la scusa del terrorismo islamista come il criminale mafioso Bashar al-Assad, quelli che in Palestina costruiscono muri in nome della sicurezza, che radono al suolo Gaza, e che insultano la dignità umana prima ancora che il popolo palestinese. Quelli e i loro servizi segreti, i loro sgherri, le loro milizie in difesa della laicità. Quelli sono i più disgustosi, ipocriti e sanguinari terroristi che seminano infelicità.

Quando per la prima volta sono venuto a sapere della scomparsa di Giulio Regeni, col quale condivisi parte della mia esperienza di studio a Damasco nel 2010, ho istintivamente aggrottato la fronte. Ho fatto tesoro delle esperienze vissute in Siria, Libano, Giordania, e Palestina, degli studi di questi anni, delle conversazioni con le persone che ho incontrato e mi sono posto una domanda: nell’Egitto attuale, per di più in pieno centro al Cairo il giorno delle manifestazioni per l’anniversario della Rivoluzione, chi è in grado di catturare un giovane bianco, portarlo via e farlo scomparire? Le stranissime circostanze della sparizione sono state chiarite dal tragico ritrovamento del corpo solo pochi giorni dopo, in una zona remota alla periferia della città, con segni di tortura e maltrattamenti. Non serve essere Sherlock Holmes per capire cos’è successo, e tutto porta nella direzione dei servizi segreti locali (mukhabaràt in arabo) che godono di ampia libertà e sono noti per la brutalità, e perché spesso si lasciano prendere la mano negli interrogatori. Regeni era un ricercatore e un corrispondente sotto pseudonimo per Il Manifesto, non certo un novello Catilina inviso al Generale El-Sisi, ma probabilmente era scomodo per le paranoiche autorità egiziane, che con tutta probabilità l’hanno catturato per fargli qualche domanda. La situazione è probabilmente sfuggita di mano, e forse per la sua carnagione olivastra i poco intelligenti mukhabaràt, ignoranti e razzisti, hanno probabilmente pensato all’ennesimo attivista locale, la cui scomparsa non avrebbe dato loro troppi grattacapo.

Ad oggi le autorità forniscono spiegazioni vaghe e contrastanti. Il procuratore del governatorato di Giza parla di segni evidenti di tortura, bruciature di sigaretta (la classica firma dei porci delle mukhabaràt), e tagli presenti su varie parti del corpo. La polizia egiziana invece parla di un fantomatico incidente stradale. Carica di altrettanta cialtroneria e incapacità anche la gestione del caso da parte della diplomazia italiana, inizialmente cauta e silenziosa nei primi giorni successivi alla scomparsa, poi improvvisamente verbosa ma incoerente nelle dichiarazioni. Nei minuti successivi alle primissime agenzie che parlavano di un ritrovamento del corpo il Ministro Gentiloni si è affrettato a esprimere il proprio cordoglio per la “probabile” morte dello studente. Immediate sono partite le illazioni e le speculazioni dei giornali che, in maniera eguale ai governi e alla diplomazia, dovrebbero rispettare un protocollo di serietà ed accuratezza che tra i network italiani pare totalmente assente.

La tristezza, l’amarezza e la rabbia per la morte di un collega ammazzato mentre coltivava la sua passione proprio da coloro i quali dovrebbero proteggere e garantire stabilità, mi impediscono di guardare agli eventi con la lucidità necessaria per poter trarre delle conclusioni e delle lezioni di cui poter fare tesoro in futuro. È toccato a Giulio, ma poteva poteva essere chiunque di quei tanti appassionati di lingua araba, di Medio Oriente, di Islam che ogni giorno si recano sull’altra sponda del Mediterraneo assetati di esperienze, di conoscenza e di verità. Potevo essere io, poteva essere Luca, il mio amico che spesso è andato in Egitto in cerca di notizie, poteva essere Roberto, che in passato ha trascorso lunghi periodi al Cairo per svolgere studi simili a quelli di Giulio. Indubbiamente fare giornalismo, ricerca e condurre studi in maniera libera in Egitto oggigiorno è diventato estremamente rischioso e complicato. Così come dopo la decapitazione di James Foley nessun giornalista arabo o europeo si è più azzardato ad avventurarsi nei territori occupati e colonizzati dall’autoproclamato Stato Islamico, sempre meno avranno le spalle tanto larghe da permettersi di andare in Medio Oriente a raccontare la verità e inimicarsi gli spietati servizi segreti dei regimi fascisti.

Conoscendo la cronica codardia e l’incapacità dei governi italiani difficilmente ci saranno serie conseguenze nei confronti dell’Egitto di El-Sisi, storico alleato italiano, europeo e americano. I doppi standard della democrazia liberale occidentale in tema di politica estera e in particolare in Medio Oriente d’altronde sono di domino pubblico e non stupiscono più nessuno. L’era dei social media e della condivisione ci offre tutt’al più la magra consolazione di condividere l’appello creato da membri dello staff all’Università di Cambridge dove Giulio Regeni studiava, per richiedere indagini trasparenti e giuste che portino alla condanna dei responsabili.
Alessandro Columbu è dottorando e insegnante di lingua araba all’Università di Edimburgo, in Scozia. Ha imparato l’arabo a Tunisi, Damasco, Beirut e Amman. Di recente ha pubblicato una traduzione dall’arabo in lingua sarda di una raccolta di racconti del siriano Zakaria Tamer.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

One Comment

  1. Questo e’ il primo commento plausibile e giustificato che ho letto sulla tragica scomparsa di Giulio Regeni : e’ cosi’ difficile al giorno d’ oggi affrontare tali argomenti scottanti senza corrrere qualche rischio personale ?? Complimenti ad ALessandro e auguri per la sua attivita’: spero solo che non voglia esporsi troppo …

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