Alluvioni: l’argine che non crolla è un popolo solidale[di Enrico Trogu]
Sardegna vulnerabile. Inquinata. Dissestata. Abusiva in casa propria. Sardegna che scivola a valle, che smotta verso il mare portando in un grembo soffocante case e figli. Nel tempo della tragedia in cui non vi è nemmeno il pensiero di poter rielaborare il lutto, l’unico argomento da citare è quello del sistema spontaneo della solidarietà. Alle quattro del mattino di sabato 23 novembre, a Cagliari, in Piazzale Trento, sotto il palazzo del Piano Paesaggistico dei Sardi, si radunano 108 giovani tra universitari locali, fuorisede ed Erasmus, e un gruppo di scout dell’hinterland, mobilitati dall’associazione UniCa2.0. Gli studenti sono riusciti ad ottenere due autobus dell’ARST per portare 216 braccia nel nord Sardegna, complici un post su facebook e poche decine di telefonate. A seguire l’interminabile viaggio, l’arrivo sui luoghi del disastro e l’incontro con il comitato locale della Croce Rossa per coordinare l’intervento e i gruppi. Il resto è desolazione, mobili da sfasciare di fronte a residenti annichiliti, è la palestra di una scuola liberata, son scantinati e giardini vuotati, son innumerevoli cassoni di camion pieni di ricordi e proprietà distrutti. Alle cinque del pomeriggio il ritorno. Il valore di una giornata lavorativa durata 6 ore (viaggio escluso) non può che essere simbolico. La Sardegna è riuscita, al netto della gestione “ufficiale” dell’emergenza, a dare una prova di dignità e unità che sfida qualsia luogo comune o topos sulla sardità. La capacità di organizzazione e di autogestione dei volontari, i punti di raccolta spontanei fin nella più piccola (o lontana) località… L’isola della crisi e degli elmetti si è messa le mani in tasca e si è pagata il carburante, gli attrezzi, il cibo, i vestiti. I territori cui son state scippate le zone franche urbane hanno posato sul piatto un bel pezzo di IVA pur di esserci. I due autobus cagliaritani sono pertanto uno dei tanti strumenti di narrazione del dramma; la reazione all’alluvione sta diventando un atto pedagogico collettivo, in molti stanno comprendendo l’alterità presente tra l’assistenza e l’aiuto diretto; in tanti stanno assumendo posizioni drastiche circa la gestione della ricostruzione: mai più in quei luoghi, mai più come a Capoterra. Attendiamo la traduzione di ciò in atti amministrativi. Il racconto non può però terminare con un faldone giudiziario e dei punti di bilancio. Centinaia di persone hanno subito la distruzione di intere memorie storiche familiari. Il fango insudicia, impregna il legno, i corredi, i diari di scuola, gli album. Il fango, letteralmente, oblia ciò che sommerge, obbliga alla convivenza con un passato privo di ricordi fisici; soprattutto per questo è necessario che la narrazione collettiva prosegua. |
Struggente articolo sulla tragedia della Sardegna