Laura Boldrini parla di Europa al King’s College di Londra [di Nicola Ortu]
La sera del 29 febbraio 2016, in una gremita Great Hall del King’s College di Londra, in occasione della annual lecture per il Jean Monnet Centre of Excellence, la presidentessa della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, arriva in perfetto orario: si parla di integrazione europea. La platea è assai variegata, e comprende, nonostante una maggioranza di italiani, anche numerosi stranieri, venuti ad assistere ad un evento di tale portata. Presenti anche le massime autorità consolari del nostro Paese, fra cui l’ambasciatore della Repubblica a Londra, HE Pasquale Terracciano. La presidentessa Boldrini, ringraziando il Professor Jacobs, presidente del Jean Monnet Centre of Excellence, sfoggia da subito un’ottima padronanza della lingua inglese – frutto dei numerosi anni di carriera passati all’interno di organizzazioni internazionali, fra cui UNHCR-nonché una conoscenza profonda della storia passata di integrazione europea. Cita prima Salvemini, mentore di Ernesto Rossi, poi il grande federalista Spinelli, e ancora Eugenio Colorni ed Ursula Hirschmann. Tutte grandi personalità della storia recente del 20° secolo, accomunate dall’aver preso parte nella stesura del Manifesto di Ventotène, il primo documento che teorizzava l’idea di Stati Uniti d’Europa. Oggigiorno, continua la presidentessa, l’Europa si trova ad un bivio importante, il più importante che abbia mai dovuto affrontare. Con la possibilità del Brexit ed il continuo afflusso di rifugiati sulle coste degli stati più meridionali dell’Unione – Grecia ed Italia in primis – il progetto politico che ha garantito 70 anni di pace e prosperità economica nel vecchio continente è oggi più che mai messo a repentaglio. La lecture della presidentessa Boldrini è avvincente, sembra quasi una lezione impartita a degli studenti universitari. E il pubblico, quasi impassibile, prende appunti. La Presidentessa chiede e auspica che il Regno Unito possa rimanere nella Unione Europea, visti gli sforzi comuni che, dopo trentasei ore di negoziati, hanno portato ad un accordo che garantirebbe, in caso di permanenza, uno status speciale al Regno Unito all’interno dell’Unione. Non si vuole appellare ai votanti del Regno Unito, riconoscendo che questa è una questione che riguarda solamente i cittadini britannici, ma si sofferma comunque, appassionatamente, sulla necessità di solidarietà non solo fra gli stati membri, ma anche all’interno degli stessi. I problemi restano, e ne cita diversi: i preoccupanti livelli di disoccupazione, le misure di austerity che da sole non sono abbastanza, ed i movimenti migratori, gli effetti dei cambiamenti climatici. Ma la soluzione, afferma la presidentessa, non è un ritorno allo stato-nazione. La soluzione, in un mondo sempre più globalizzato, una ancor più profonda integrazione. Il climax della serata si raggiunge quando l’onorevole Boldrini toglie fuori da una busta targata Camera dei Deputati un giubbino salvagente. Di ritorno dall’isola di Lesbo, in Grecia, dove ha avuto modo di incontrare il ministro per le politiche migratorie del governo Tsipras, mostra a una ammutolita Great Hall quali siano i valori europei per cui bisogna combattere; il rispetto dei diritti umani e la dignità della singola persona in primis. L’Europa deve agire unita, prima che venga travolta da una crisi senza precedenti, questo il messaggio, sintetico e chiaro, della presidentessa della Camera. La seconda questione che sta a cuore alla presidentessa è la crisi economica che attanaglia numerosi stati membri fin dal 2008: le misure di austerity da sole non faranno si che l’Europa possa finalmente uscire dalla crisi. Per questo c’è la ancor più forte necessità di una più integrata agenda economica fra i ventotto stati membri. Ma con tutte queste situazioni negative, è ancora possibile vedere un’Europa unita, o siamo davanti ad un lento declino di un progetto politico-economico forse mai decollato veramente? La risposta della presidentessa arriva forte e chiara, ‘yes we can’, intona con voce decisa. La risposta sul campo arriva niente poco di meno che da lei stessa: dopo aver contattato il presidente del Parlamento del Lussemburgo, Mars di Bartolomeo – in quanto nazione di presidenza del Consiglio europeo – si è poi rivolta a Claude Bartolone, suo equivalente nella assemblea nazionale Francese, ed al presidente del Bundenstag – la camera bassa del parlamento Tedesco – Robert Lammert. Insieme, il 14 settembre 2015, nel corso di una cerimonia solenne tenutasi a Roma, hanno ratificato una dichiarazione, basata sui concetti di più Europa, di sovranità condivisa, di riforma e, punto a mio parere fondamentale, l’intenzione di stabilire un’Unione federale: gli Stati Uniti d’Europa. Oggigiorno, già dodici parlamenti nazionali hanno ratificato la dichiarazione. In conclusione, appropriandosi dell’affascinante pragmatismo di un grande uomo politico quale fu Winston Churchill, cita : “bisogna mettere insieme coloro che vorranno e coloro che possono“. In parole povere: un’unione più forte e coesa è necessaria, anche al costo di avere un’Europa a due velocità. Sarà la storia a giudicarci, e con essa i nostri discendenti. La presidentessa, come afferma nelle sue battute finali, “non vuole raccontare favole“. E ancora, riprendendo una iconica frase del Manifesto di Ventotène: “La strada da percorrere non è né semplice né certa, ma deve essere perseguita, e sarà così.” *Studente di Cagliari – Department of War Studies – King’s College London |