Salvatore Settis, la buona scuola non è buona. E le “competenze” non servono a niente [di Bruno Giurato]

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Linkiesta.it 7 Febbraio 2016. L’archeologo e storico dell’arte contesta l’indirizzo della scuola e dell’università di oggi. E difende gli insegnanti, l’ozio creativo, e la storia come riserva di possibilità per il futuro. Studi sempre più specializzati. L’acquisizione di “competenze” sempre più precise che seguano le esigenze del mercato del lavoro. Studenti che escono dall’università (o anche dalle superiori) in possesso di una professionalità spendibile subito. Sono questi i desideri proibiti di chi frequenta le scuole, oltre che il totem retorico degli addetti alla cultura, dai ministeri ai dirigenti scolastici (con quali risultati poi è un’altra storia, di cui abbiamo cercato di parlare nello speciale di questa settimana su Linkiesta).

Ma c’è un ma: siamo sicuri che sia la strada giusta? Sicuri di essere consegnati alle varie specializzazioni e alle tecnicità sia l’unico modello culturale sensato? «Bisognerebbe ricordarsi più spesso di un aforisma di Goethe, che dice più o meno così: “Le discipline di autodistruggono in due modi, o per l’estensione che assumono, o per l’eccessiva profondità in cui scendono”» racconta a Linkiesta.it Salvatore Settis.

Archeologo e storico dell’arte, già direttore della Normale di Pisa, dimessosi qualche anno fa dal Consiglio Superiore dei Beni Culturali in polemica coi tagli alla Cultura del governo Berlusconi, Settis è ora in prima linea nella difesa di paesaggio e monumenti italiani. «Bisogna trovare un equilibrio tra lo specialismo e la visione generale -spiega-. La tendenza che si sta affermando nei sistemi educativi un po’ in tutto il mondo, ma in particolare in Italia è educare a “competenze” piuttosto che a “conoscenze”».

Fatti non fosti a viver come bruti, ma per seguir virtute et competenza?
Ecco, è un’idea perversa sostituire la parola “conoscenza” con “competenza”, come è stato fatto dai pedagogisti alla nostrana, consultati da Berlinguer e dalla Moratti in poi per le loro pessime riforme scolastiche. Abbiamo bisogno di persone con uno sguardo generale. Non bastano le conoscenze specialistiche, approfondite quanto si vuole. Ci vuole una visione collegata col senso della comunità (come del resto è scritto nella nostra Costituzione, che stiamo via via dimenticando).

Competenza vuol dire possedere oggetti conoscitivi e capacità. Conoscenza vuol dire farsi modificare dalle cose che si incontrano, giusto?
E poi non c’è conoscenza senza sguardo critico, cioè senza il dubbio. La scuola ci insegna delle cose, ma dovrebbe soprattutto insegnarci a dubitare di quello che essa stessa ci insegna.

E invece?
Il modello dell’educazione di oggi è quello di Tempi moderni, di Charlot che fa l’operaio e esegue un solo gesto: prendere la chiave inglese e girare un bullone. L’ideale del nostro bell’ideologo-intellettuale-riformatore dell’educazione è proprio “formare” qualcuno che fa una sola cosa, e la fa senza pensare. Un modo di mortificare la ricchezza della natura umana. E la democrazia viene uccisa.

A proposito di non-specialismi: quanto è stato importante per lei leggere disinteressatamente, senza un fine di studio. Così per piacere, e per avventura?
E’ essenziale per tutti. La curiosità intellettuale è il sale della formazione. Guai se uno dovesse leggere i libri o guardare i film che qualcuno gli ha ordinato di guardare o di leggere. Tutti inseguiamo delle curiosità senza scopo. E lo facciamo anche con gli esseri umani: se a una cena c’è una persona interessante ci parliamo. Così dobbiamo fare anche coi libri o con la formazione.

Cosa ne pensa degli slogan che erano cominciati con Berlusconi (“Inglese, impresa, internet”) e che proseguono con Renzi (“La buona scuola”)?
L’uno e l’altro slogan sono stati usati in modo superficiale e cinico per sostituire la sostanza. L’etichetta del brandy di lusso mentre nella bottiglia c’è quello del discount. Stesso discorso per il nostro presidente del Consiglio che ama la “Narrazione”. Narrare (in altri termini: raccontare balle) per persuadere gli ingenui. Basta parlare con qualche professore per accorgersi che la cosiddetta “buona scuola” non è una scuola buona: sono in condizioni di grave difficoltà da tutti i punti di vista.

Ecco, al di là dei problemi di reclutamento e del trattamento economico. I professori ormai sono perennemente ingolfati di carte: schede di valutazione, moduli da riempire, piani formativi. Sembra quasi un controllo burocratico-contenutistico kafkiano sul loro lavoro. Cosa ne pensa?
Questo è un punto vitale, per tutte le categorie di professori: elementari, medie, superiori. E anche quelli universitari. E qui c’è un paradosso..

Ci dica…
La burocratizzazione del mondo avanza mentre gli stessi governanti continuano a dirci che stanno facendo una lotta dura e senza paura contro la burocrazia. Il fatto di dover riempire mille moduli, dover scrivere mille sciocchezze: è come se non ci si fidasse della responsabilità dell’essere umano. Un professore si giudica dai risultati, da come fa lezione agli allievi. Nel caso di un professore universitario c’è la ricerca. Che poi viene spesso valutata male.

One Comment

  1. Giovanni Scano

    Io faccio l’insegnante. Di francese, seconda lingua straniera comunitaria. Alla scuola media. Penso che la sedicente riforma della scuola promossa dal governo Renzi sia un’altra occasione mancata. Penso che non si tratti di una riforma ma di un insieme di piccoli aggiustamenti qua e là. Non ha introdotto cambiamenti a livello strutturale (tipo riordino dei cicli, soprattutto scuola media sia di primo che di secondo grado, con diminuzione di un anno della durata degli studi preuniversitari) né ha cambiato in modo radicale il modo di fare didattica (tipo introdurre dappertutto l’aula-laboratorio specificamente dedicata alle singole discipline). La mia idea di riforma della scuola sarebbe la seguente:
    Riforma della scuola.
    1^ Riordino dei cicli.
    Scuola elementare di 5 anni, scuola media di 4, scuola superiore di 3.
    Vantaggi: esame di maturità ed eventuale ingresso all’università 1 anno prima.

    2^ Cambiamenti nell’organizzazione della didattica.
    Scuola elementare: ritorno ai moduli.

    Scuola media: scuola dell’orientamento;
    curricolo dello studente, con l’introduzione di un certo numero di materie fondamentali (italiano, matematica, …), obbligatorie per tutti; un certo numero di materie opzionali (per esempio, si decide di fare 2 lingue straniere comunitarie che possono essere: inglese + francese o spagnolo o tedesco o sloveno o danese … , sulla base di un’autonoma offerta formativa da parte di ciascuna scuola); un certo numero di materie facoltative, proposte in autonomia da ciascuna scuola;
    non più l’aula della 2B, l’aula della 3A e così via ma l’aula-laboratorio di italiano, quella di francese, quella di inglese, e così via;
    su tali basi ciascun alunno si crea il proprio curricolo – piano di studi approvato dal collegio docenti;
    esame di licenza alla fine del quadriennio (se si pensa sia utile, altrimenti andrebbe bene anche il semplice scrutinio dei voti).

    Vantaggi: (eventuale) esame di licenza avendo un anno in più;
    maggiore possibilità di scelta riguardo ai contenuti dell’apprendimento;
    maggiore responsabilizzazione degli alunni;
    maggiore autonomia e libertà di scelta per gli alunni;
    maggiore possibilità di mettere in rilievo le “attitudini” di ciascuno.

    Scuola superiore: scuola formativa e professionalizzante;
    curricolo dello studente, con un certo numero di materie obbligatorie (riguardanti soprattutto l’indirizzo specifico professionalizzante di ciascuna singola scuola, ma anche la lingua e la cultura italiane); un certo numero di materie opzionali e altre materie facoltative proposte in autonomia da ciascuna singola scuola;
    scuola collegata al mondo del lavoro;
    non più l’aula della 1T, l’aula della 2F e così via ma un aula – laboratorio per ciascun insegnante e per ciascuna materia;
    sulla base di tali presupposti, ciascun alunno si crea il proprio curricolo – piano di studi approvato dal collegio docenti;
    esame (o semplice scrutinio) alla fine del triennio.

    Vantaggi: diploma un anno prima;
    maggiore possibilità di scelta dei contenuti dell’apprendimento;
    maggiore autonomia e libertà di scelta;
    maggiore responsabilizzazione;
    maggiori opportunità per l’ingresso nel mondo del lavoro;
    minori rischi di licealizzazione per le università.

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