La sinistra democratica soffre ovunque, ma in Italia di più [di Nadia Urbinati]

174096-occupy-wall-street

Huffington post, 20 marzo 2016. La sofferenza della sinistra va oltre le vicende nazionali e le scissioni, minacciate o reali, che la segnano. Come un processo di partenogenesi, da un seme comune — che porta il nome di giustizia sociale tra liberi e eguali — molti e diversi corpi nascono, cadono e si sviluppano senza interruzione. E’ possibile leggere questo fenomeno come un segno di libertà e di vivacità politica che esiste solo nelle società aperte e libere. Partenogenesi è, dopo tutto, nuova vita non frammentazione ed espressone di un segno per fortuna mai sopito che esiste il bisogno di pensare, di riflettere criticamente sulle modificazioni sociali e su come queste cambino le interpretazioni dei comuni valori e principi. Dissenso implica ricerca.

Tuttavia, nonostante questo sforzo di vedere le cose in positivo, per la tradizione della sinistra democratica e liberale questa è e sarà ricordata come un’età di grande sofferenza, per la difficoltà di trovare un punto di riferimento solido che stia oltre le figure politiche individuali, oltre leader rappresentativi, e invece nei processi sociali e nelle costruzioni ideali che tengono insieme forme collettive. E’ nel partito che le trasformazioni e le ricerche possono e devono trovare radicamento, in un movimento collettivo. La leadership in solitudine non basta e in alcuni casi può essere ostruttiva del processo di trasformazione.

La difficoltà a tenere insieme un’unione politica organizzata è segno di una difficoltà più radicale. Quella di tenere insieme libertà e giustizia — un problema classico, che ritorna ogni qualvolta una crisi economica lacerante e profonda impone agli attori politici, ai cittadini e ai leader, di scegliere. In un clima di scarsità delle risorse, come è quello in cui ci troviamo, finita la fase di crescita espansiva dei consumi e della programmazione via stato della redistribuzione della ricchezza tra eguali cittadini della nazione democratica, la sinistra nei paesi occidentali, ed europei soprattutto, ha cominciato a registrare una reale crisi di identità e un declino di identificazione. Si tratta di un fenomeno non recentissimo e che ha preso i caratteri specifici dei paesi di appartenenza.

E’ la profonda insoddisfazione verso le politiche sociali del Partito Democratico che mette in risalto la difficoltà di Hillary Clinton a conquistare una forte e chiara nomination nelle primarie per le prossime elezioni presidenziali. Come un fiume carsico, l’energia contestatrice di democrazia sociale e di criitica della straordinaria diseguaglianza economica che si è sprigionata con Occupy Wall Street sta emergendo in maniera dirompente, senza timidezza, con lo straordinario successo di opinione e identificazione intorno a Berny Sanders.

E anche se la sua campagna per la nomination non avrà successo, le richieste che rappresenta – fare del sogno americano una promessa realizzabile non un opium populi—non sono destinate a scomparire. E così, in Francia, gli scioperi contro la deregolamentazione del lavoro e la decurtazione dei diritti sociali rendeno i socialisti al governo la controparte contro la quale i cittadini (e i socialisti) contestano la violazione della promessa di giustizia sociale.

Non sarà facile per il partito di Holland arginare il movimento e restare alla guida del movimento. Essere partito di lotta e di governo, arduo in sè, è praticamente impossibile quando le condizioni per la redistribuzione della ricchezza sono ridotte all’osso. In questa Europa, gruppi sociali e poteri hanno voci molto ineguali e indubbiamente la radicalizzazione dei conflitti può diventare isostenibile per le democrazie costituzionali.

Al di fuori dei partiti tradizionali, il movimento di ricostruzione della sinistra in contesti socio-economici disastrati o difficili ha preso strade movimentiste e populiste, linguaggi e forme di aggregazione che fino a qualche tempo fa erano, in Europa almeno, praticate soprattutto dalla destra. Il populismo che la sinistra brandisce in Grecia e in Spagna ha il significato esplicito di una reazione contro partiti socialisti consumati dall’esercizio del potere.

Senza classi sociali sulle quali ricostruire il tessuto connettivo degli ideali di giustizia e solidarietà, è il popolo dei molti, la maggioranza larga di coloro che vivono (male) del proprio lavoro, e non hanno rappresentanza sociale forte, a fare da tessuto connettivo. Il populsimo al quale la sinistra si è rivolta è il segno di un “grido di dolore” (come chiamava Emile Durkheim il socialismo) che i partiti tradizionali della sinistra non sembrano capaci o desiderosi di ascoltate e che il populismo stesso non garantisce di risolvere.
E’ in questa età complessa che la sinistra vive la sofferenza di una cultura politica che non sembra riuscire più ad orientare le azioni e unire larghe forze collettive, che ha smarrito il linguaggio del riformismo sociale.

Accanto agli esempi di indubbio coraggio politico che vengono dagli Stati Uniti (e dal poco menzionato Canada, un esempio di vittoria della sinistra democratica di rilievo) vi sono casi come quello italiano di profonda e radicale frammentazione. In Italia, dove l’erosione della tradizione e dei valori delle sinistra si è intrecciata al declino per vie giudiziarie della classe politica e dei partiti che fecero la ricostruzione post-bellica, la transizione verso un soggetto politico nuovo sembra infinita.

E non ancora approdata ad una sedimentazione delle fondamenta. Nel moto tellurico di sigle, statuti, e leadership, sembrano essere stati travolti quegli stessi principi di democrazia sociale che vengono tuttavia propagandati e proclamati. La sinistra italiana sembra annaspare senza riuscire a trovare un appiglio sicuro a partire dal quale recuperare energie e tornare a navigare in mare aperto. Essa é l’immagine più esemplare della sofferenza.

Lascia un commento