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Molto più banalmente rispetto ai contenuti dell’intervista a Noam Chomsky, mi viene da ricordare che sono 300 anni o poco più che noi occidentali andiamo in giro a prendere gli altri a calci nelle palle; poi mandiamo a casa loro i rifiuti tossici e radioattivi che produciamo a casa nostra; poi gli vendiamo le armi affinché possano scannarsi fra di loro evitandoci il fastidio di farlo noi; gli corrompiamo i politici (i quali per la verità, a nostra somiglianza, non si fanno pregare troppo) e provochiamo rivoluzioni a casa loro.
Dato che siamo diventati dei senza Dio, gli sfottiamo i loro; quando vengono nei nostri paesi gli concediamo generosamente di pulire dai nostri rifiuti che noi non vogliamo più raccogliere o di prendere dalla pianta i nostri buoni pomodori che hanno il difetto di crescere vicino al suolo; concediamo, sempre al culmine della nostra generosità, di vivere in quartieri fatiscenti e, per favore, che non turbino la nostra tranquillità con la loro presenza.
Dopo ci meravigliamo di non essere ringraziati per un simile trattamento. Mi accorgo però che questa che ho appena descritto è solo la “pars destruens” del ragionamento, forse la più facile anche se in troppi ancor oggi non sanno trarne le conseguenze. E’ estremamente più complicato affrontare il tema della “pars construens” e cioè decidere che cosa si debba fare d’ora in poi per giungere ad una vera normalizzazione dei rapporti fra noi e loro.
Temo che anche se decidessimo di invertire totalmente la rotta rispetto a quanto abbiamo fatto sinora, ci vorrebbe un tempo assai lungo per ottenere risultati apprezzabili, quasi certamente incompatibile con la speranza di vita di noi tutti. Senza contare che coloro ai quali abbiamo consegnato la facoltà di decidere per noi non sarebbero strutturalmente in grado di assumere orientamenti così radicalmente rivoluzionari.
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Francamente mi sembra una lettura molto superficiale, viziata da un pregiudizio: l’occidente ha sempre torto, gli altri ragione.