Dipendenza criminale [di Alessandro Mongili]

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È difficile risollevare la testa in questa stagione politica. Per anni ho pensato che la giunzione fra carriere, biografie e sistema politico fosse troppo trascurata nell’analisi della politica sarda e, quindi, del nostro destino collettivo, e che dunque tutte le soluzioni proposte si fermassero alla soglia delle pratiche vere. Ma ora, di fronte alla deriva criminale di questi ultimi giorni, e di questa stessa giunzione, mi sembra ancora più difficile rispondere alla domanda di sempre, che fare?

Quello che sta succedendo è insostenibile. La corruzione, l’arricchimento, la ricerca di posizioni e di fama fanno parte della politica, e il loro contrasto non si può certo trascurare in via ordinaria, dev’essere cioè pratica continua proprio perché continuamente la politica si presta alla corruzione. Qui, però, ci troviamo di fronte a un passaggio di taglia. Qui si tratta di criminalità.

La politica sarda è stata, negli ultimi decenni, un campo malinconico in cui la colpa era dei sardi o della loro arretratezza ma “ora tocca a noi”, e vedrete quante cose belle il nostro franchising politico farà, ispirandosi ai nostri cari leader continentali che tanta bella figura fanno in tv, variabilmente localizzati dalle parti di Central Park, della Torre Velasca, o dei Ristoranti vicino al Pantheon. Servilismo, conformismo, dipendenza (anche culturale) l’hanno contrassegnata profondamente. Dietro lo sbandieramento di un’Autonomia in pratica inesistente e di un’identità sarda arcaicizzante – copertura della nostra posizione subalterna all’interno di quell’insieme fragile che chiamiamo Italia -, una classe dirigente che si è presentata come modernizzatrice e antisarda ha lucrato vantaggi e posizioni, in generale peggiorando le nostre vite in modo quasi scientifico. Ci eravamo abituati e ne abbiamo perfino riso.

La dipendenza della Sardegna dall’Italia non è una questione semiotica, è una prassi, e spesso ripaga materialmente e simbolicamente, con denaro e con fama, chi ne assicura il perdurare. E la svendita del nostro futuro sembra passare sempre di più da pratiche come quelle descritte nelle indagini in corso. I soldi che arrivavano con i Piani di Rinascita adesso arrivano nei modi descritti negli articoli dei quotidiani che seguono le vicende di ladrocinio ibrido criminal-politico. Se vogliamo, la corruzione era prima un affare istituzionalizzato, la Sardegna era svenduta al Petrolchimico e al Mito Smeraldo in nome della Modernità, mentre oggi è svenduta per mandare su yoox e su ebay un manipolo di arricchiti affamati di stupidaggini costose.

Ma qual è la differenza vera fra gli incriminati e gli altri dipendentisti sardi, sul piano della svendita della nostra comunità e del suo destino? Le pratiche, le ideologie, l’uso che fanno della Sardegna come trampolino per le loro carriere, ha una radice comune, cioè la loro fedeltà al regime di dipendenza della Sardegna e il loro odio per i sardi, cioè per se stessi. Alcuni ci lucrano materialmente, altri simbolicamente, altri ancora sotto entrambe le forme. Per fortuna, non tutti compiono reati, ma l’idea che la Sardegna sia un luogo da saccheggiare o usare per interesse proprio è comune. In un politico, è comunque condannabile.

I discorsi che attribuiscono ritualmente al carattere identitario il comportamento criminale si rivelano particolarmente pericolosi, perché mascherano il fatto che è il tipo di modernità eterodiretta – le cui spoglie ci ritroviamo a gestire – la vera matrice delle forme più incredibili di criminalità che ci troviamo a commentare. Assorbe attitudini e capacità che hanno anche matrici tradizionali, ma è questo tipo di agire che mette in moto questi processi, insieme di rapina dei beni comuni e di banalizzazione del crimine.

Ma non c’è tempo per recriminare. Bisogna provare a rispondere a questa domanda. Che cosa possiamo e dobbiamo fare dunque per opporci a queste pratiche e a questa corruzione così pervasiva? La magistratura farà il proprio corso, ma chi ha cura per la cosa pubblica deve esigere e mettere in atto comportamenti diversi. I vari vassalli del sistema della dipendenza faranno, come sempre, finta di niente, ora che è difficile usare facili motivazioni auto-colonizzanti tipo l’arretratezza delle zone interne o banalità simili. Questo li delimiterà, anche se di fronte ai nostri occhi sono già identificabili nella loro pochezza politica e intellettuale. Per loro è facile e autoassolutorio rimandare tutto a mitici caratteri identitari dei sardi, come sempre.

Per questo, rimane valida l’idea di non sostenere in alcun modo i franchising politici “italiani” o i gruppi di potere “sardignoli” neo-autonomisti o neo-sovranisti del “Pinta la legna e portala in Sardegna”, troppo collusi con i regimi di dipendenza che strozzano la Sardegna. Ma è ora di adottare in modo più rigido la distanza con chi abbia pendenze con la giustizia, e di promuovere in ogni modo il loro allontanamento dall’attività politica. Si tratta di un sistema che non si fa problemi a infiltrare qualsiasi alternativa.

Non si tratta di giustizialismo, ma, semplicemente, significa adottare da subito modi di fare diversi da quelli che la nostra recente italianizzazione sta pericolosamente banalizzando. Lo dobbiamo a noi stessi.