Avvenire del 14 aprile 2016. Non sarà un’eccezione. Da oggi, e per sei mesi, Matteo Renzi raddoppierà e triplicherà la sua presenza mediatica. Con tutti i mezzi possibili. Anche con il format che scrive e conduce lui, come fosse un anchorman,#Matteorisponde, una sorta di filo diretto 2.0 attraverso Facebook e Twitter. Sul computer e sullo smartphone legge le domande (e anche gli insulti) degli utenti. In video risponde.
E la raffica di ieri – un’ora e dieci di diretta – piazza tre pilastri nel dibattito. Uno: «Credo che il referendum lo vinceremo». Due: «La minoranza vuole cambiare l’Italicum, io no». Tre (il passaggio più complesso da decriptare): «Il referendum costituzionale è sulla riforma del Senato, non su di me. Condivido che non deve essere un plebiscito, ma non sono io a farlo. Poi è chiaro che se non passa ne traggo le conseguenze, è giusto che vada a casa».
Vale la pena fermarsi, sull’ultimo punto. È una nuova strategia politica. Il premier addebita agli altri la volontà di trasformare il referendum di ottobre – le opposizioni, unite, inzieranno a raccogliere le firme dei parlamentari subito dopo la pubblicazione in Gazzetta – in un voto su di lui, pur essendo consapevole di aver fatto molto per trasferire questa lettura nel Paese. Ma così non si va lontano. Perché la politicizzazione della consultazione sulla Carta può influenzare il voto. È un cambio di strategia che va letto insieme alla frase detta dall’inquilino di Palazzo Chigi al Salone del mobile di Milano: «La lotta politica non può prendere in ostaggio il Paese. La prima riforma è smettere di parlare male dell’Italia». Dire che il referendum costituzionale non deve essere – almeno nelle sue intenzioni – un plebiscito su di lui vuol dire anche rasserenare la minoranza dem, raccogliere il loro grido d’allarme. E magari provare ad allontanare dalla sinistra il timore che il decisivo test sulle riforme sia un modo per metterli sull’uscio della porta.
«Questa riforma – dice anche ai suoi oppositori interni – è un gigantesco passo in avanti. Non c’è stata nessuna violenza nel portarla avanti. Sono un premier non eletto dai cittadini? Leggete la Carta, nessuno dei 63 premier è stato mai eletto dal popolo, funziona così». La campagna referendaria parte dunque da Milano, che va al voto a giugno, e da Roma, dal quartier generale di Palazzo Chigi. Al Salone del mobile Renzi parla anche di giustizia, incentivi alle ristrutturazioni, «consumi che ripartono». E ammette: «Voglio restare a lungo premier», insomma vuole vincere nel 2018. Tornato nella Capitale, allestisce nel suo studio una postazione da nerd per dialogare con i cittadini sui social network. Digita sul pc e sullo smartphone – e parla in video – senza soluzione di continuità. In 70 minuti si va a tutto campo. Dal suo stipendio da 5.500 euro al mese alle battute sul prossimo ct della Nazionale e sullo scudetto, sino al canone Rai. Sull’evasione Renzi picchia duro: «I pregiudicati guidano altri partiti, non il nostro».
La novità del format, rispetto alla settimana scorsa, è l’ospite: stavolta a fianco al premier, per una ventina di minuti, appare il sottosegretario Nannicini, l’ispiratore della politica economica del governo. Tocca a lui difendere il Jobs act e dire che «i dati sulla disoccupazione sono in diminuzione». È lui, Nannicini, che deve rispondere su partite Iva, bonus ai 18enni, contratto nella Pa, del primo bando che scade il 29 per portare la banda larga nelle aree disagiate. Insomma emerge un «noi», una squadra. La prossima settimana, probabilmente, l’ospite sarà il governatore campano De Luca, uno che davanti alla telecamera sa fare numeri. Parleranno di ecoballe, della gara da 450 milioni per iniziare lo smaltimento. E il format cambierà ancora, con l’introduzione del «fact checking», la verifica in tempo reale dei dati offerti dal primo ministro.
Gioca forte di comunicazione, Renzi. Già oggi, per rispettare poi il silenzio del referendum, pubblicherà la sua enews settimanale. Probabilmente tornerà sul tema-trivelle, che ieri ha evitato nonostante le numerose domande dei cittadini. Pur ribadendo le sue ragioni, sfumerà l’invito all’astensione per provare a de-politicizzare anche il voto di domenica, anche se è tardi. Ieri nel suo #Matteorisponde il tema è stato solo vagamente richiamato quando qualcuno gli ha chiesto conto di Potenza e delle indagini. «Bisogna distinguere tra politici onesti e politici che rubano. Fare di tutta l’erba un fascio fa il gioco dei ladri. I ladri devono in carcere, ma non lo decidete voi, bensì un giudice», ribatte Renzi.
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