Architettura, cibo e agricoltura: assaggi della città autosufficiente [di Maicol Negrello]
Il Giornale dell’architettura 16 maggio 2017. A Milano, la terza edizione di “Seeds&Chips. The Global Food Innovation Summit” ha affrontato il tema della produzione agricola urbana e non, focalizzandosi sulle crescenti necessità di trovare soluzioni per la città autosufficiente: le urban vertical farm Nell’eredità ideale di Expo 2015, riflettori internazionali nuovamente puntati su Milano in occasione dell’evento “TUTTOFOOD2017” e della terza edizione di Seeds&Chips. The Global Food Innovation Summit (Rho Fiera, 8-11 maggio). Obiettivo: proseguire il cammino intrapreso per dare risposte sempre più concrete e sostenibili alle problematiche della città futura che impongono un cambiamento nei modi in cui il cibo è prodotto, trasformato, distribuito, comunicato e consumato. Il quesito che ci si pone è come le città riusciranno a garantire una produzione di cibo sufficiente all’interno dei propri territori e, quindi, ad essere – nei limiti del possibile – autosufficienti? Marco Gualtieri, ideatore e presidente di Seeds&Chips, ha lanciato la sfida alle città italiane ma soprattutto alle realtà delle metropoli di tutto il mondo invitando startup, ricercatori, imprenditori e politici di spicco come l’ex presidente statunitense Barack Obama per ragionare insieme su strategie, soluzioni e tecnologie in grado di garantire un futuro più resiliente alle problematiche derivanti da cambiamenti climatici, crescita demografica e diminuzione di risorse. Focalizzando l’attenzione sul cibo e sull’intera filiera, lo scenario futuro mira alla produzione in loco, interna alla città. Non si tratta delle realtà di orti urbani condivisi, né dei tetti verdi ma di ripensare gli spazi e le architetture che ospiteranno l’agricoltura del futuro: le urban vertical farm. Agricoltura e produzione sembrano trovare per la città un nuovo ruolo. Riportare la produzione dentro i confini metropolitani è non solo un modo per aumentare il grado di resilienza ma una necessità per garantire un circolo vitale basato sull’integrazione di lavoro, innovazione, produzione, energia e risorse di cui la città risulta essere l’hub. Non a caso i nuovi piani del Comune di Milano, presentati allo spazio Base (ex stabilimento Ansaldo), propongono come obiettivi del progetto Neu (Nuove economie urbane) Manifattura Milano il recupero delle attività produttive a scala urbana rifacendosi a casi europei come il Poblenou di Barcellona o L’Atelier de Paris a Parigi. Come detto dall’assessore alle Politiche per il lavoro, attività produttive e commercio Cristina Tajani, «vogliamo essere promotori di un processo di riconversione di spazi improduttivi in luoghi della produzione», per creare una nuova economia basata sulle piccole-medie imprese. Oltre alla manifattura, anche l’agricoltura è fondamentale per far partire un processo reso possibile da un progetto europeo triennale da 6,2 milioni («OpenAgri: new Skills for new Jobs in Periurban Agriculture») attraverso il quale il Comune, insieme alla locale Camera di Commercio, al Parco tecnologico Padano e alla Fondazione Politecnico di Milano sta dando vita a processi rigenerativi legati all’innovazione, all’agrotech e ad attività d’inclusione sociale per la riqualificazione della periferia. Infatti, è di spazi per la produzione e di architettura che si è parlato durante i quattro giorni del summit, dove l’Association for Vertical Farming ha riunito quattordici dei migliori innovatori da tutto il mondo nel campo della urban and vertical agricolture per comprendere come e in quali luoghi la città possa produrre il proprio cibo. La scala del discorso ha spaziato a tutto campo: dai “micro-orti”, gestibili attraverso un’app sullo smartphone e realizzati entro forme dal design poliedrico e accattivante – come il progetto di Robonica srl (start up tutta italiana), o la “libreria” dove si può coltivare la propria lattuga, proposta dalla ticinese Swissponic -, fino ai casi internazionali di Square Roots, container high tech installati nel cuore delle città americane, o delle “fattorie urbane” di Lufa Farms in Canada, dove ex opifici sono stati convertiti in vere e proprie fabbriche per la produzione di verdura e frutta a km 0, sicura e priva di pesticidi. In Italia l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), grazie al lavoro dell’architetta Gabriella Funaro (del Servizio prospettive tecnologiche per la sostenibilità, già nota per aver seguito il prototipo di Vertical Farm realizzato nel Future Food District di Expo 2015), si occupa di ricerca per la progettazione sostenibile di vertical farm con particolari interessi verso la riconversione di ex fabbriche per la produzione ortofrutticola. Lo scenario italiano, nonostante possa contare un minor numero di esempi rispetto a paesi come Stati Uniti, Canada o Paesi Bassi, presenta un notevole bacino che raccoglie gli interessi di aziende e startup che stanno dedicandosi a ricerca e sviluppo per raggiungere risultati supportati da modelli di business sostenibili sia economicamente sia nei confronti dell’ambiente. Sebbene i costi nazionali per l’energia elettrica restino molto alti (comparati a nazioni come il Canada che vanta un ampio sfruttamento delle risorse idriche), i benefici derivanti dalla realizzazione di vertical farm avrebbero un grande impatto sul tessuto urbano, in particolar modo sulle aree dismesse, oltre alle ricadute positive sia per l’ambiente (riduzione consumo di suolo, acqua, inquinanti) sia per la creazione di nuovi posti di lavoro e nuove economie urbane. Certo, siamo solo all’inizio di una rivoluzione ma i primi risultati sembrano incoraggianti, sebbene coloro che non credono possibile la coltivazione fuori suolo restino scettici. Ora non resta che comprendere quali forme assumerà la città della produzione agricola 4.0..
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