Facce e idee nuove, solo così la sinistra si rimette in moto [di Pier Luigi Bersani]

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Rep.it:03 Luglio 2018. L’intervento del leader di Liberi e Uguali: “È tempo di costruire un’alternativa comune. Servono anche passi indietro, comincio io”.

Innanzitutto sgombro il campo da questioni personali o da recriminazioni. Chi ha avuto l’occasione di ascoltarmi da oltre tre anni in qua capirà come mi senta oggi più arrabbiato che stupito per la piega che hanno preso le cose. Vorrei adesso offrire qualche altra parola al vento su come riprendere la strada di un’alternativa al governo e all’egemonia della nuova destra.

Partirò dalle condizioni minime. L’opposizione, innanzitutto. Ovviamente l’opposizione non è in sé il progetto di alternativa ma può ben esserne la premessa o l’affossamento. Ci vuole un’opposizione intelligente e articolata. Chi pensa di farla stando in cattedra o rivendicando punto per punto quello che gli italiani hanno smentito, ha perso il senno e perde la strada. Opposizione, dunque, inflessibile sui temi democratici e costituzionali, durissima sulle retoriche aggressive e regressive e sulle disumanità. Opposizione flessibile, creativa e sfidante sulle questioni sociali.

È tempo di riconoscere che si è lasciata agli altri la sostanza della nuova questione sociale, consentendo che si saldasse nel profondo col delicatissimo tema dell’immigrazione. Questo resta il cuore del problema. È necessario fare qualcosa di nuovo sulla precarietà, sulla sanità, sulle pensioni, sugli investimenti per il lavoro e per la manutenzione del paese. Se il governo non fa niente, si alza la voce. Se fa qualcosa si propone e si discute, senza inchiodarsi al passato.

Naturalmente per una sinistra di governo il tema delle compatibilità non scompare. Non sto dicendo che i mercati si impressionerebbero per qualche decimale di deficit in più, se ben speso. Sto dicendo invece che al primo shock esterno, di qualsiasi genere o provenienza, noi finiremmo nel mirino. Dunque col debito non si scherza. Dunque, piaccia o no, vale ancora l’onesto slogan del 2013: ci vuole uno sforzo comune dove chi ha di più deve dare di più. Con tutto quello che ne consegue.

Quanto all’immigrazione, la critica aspra da fare al governo a mio parere è questa: voi usate alcune buone ragioni per seminare sentimenti cattivi, aggressivi, divisivi, che per l’Italia saranno una grave malattia, non una medicina. Bisogna battere un colpo forte? Bisogna evitare un generico buonismo? È ragionevole. Si prendano dunque in ostaggio gli egoismi europei (gli strumenti ci sono), non le persone sui barconi, che soffrono e muoiono.

È giusto combattere in Europa per una politica degli ingressi più ordinata, selettiva e condivisa, alla quale le Ong possono dare un aiuto prezioso. È giusto bonificare e riorganizzare i meccanismi interni di accoglienza, ampiamente disordinati. Giusto, al tempo stesso, riconoscere lo ius soli e procedere in modo graduale e molecolare alla regolarizzazione di chi già lavora e si è inserito qui da noi, sempre in un quadro di gestione più ordinata del fenomeno. Si possono dunque gestire le buone ragioni con la forza della ragionevolezza e dell’umanità.

Deve essere chiaro inoltre che non si andrà alla radice del problema senza intaccare la percezione della “guerra fra poveri”. Diventano quindi ineludibili riforma e rilancio degli assetti del welfare universalistico. È questo il principale terreno di riflessione e di aggiornamento delle politiche della sinistra. Nessuno deve essere abbandonato. Davanti a un problema serio di salute non ci deve essere né povero né ricco.

L’istruzione deve essere per tutti. Nessuno deve immaginare di avere un futuro senza pensione. Il cittadino, lavoratore e consumatore, deve essere difeso dalle prepotenze del mercato. Obiettivi estremamente sfidanti nei tempi nuovi, e che possono sembrare utopistici. Ma è un’utopia che deve essere avvicinata: diversamente, non c’è la sinistra.

Credo anche sia ineludibile, per un’opposizione, allargare lo sguardo alla dimensione internazionale; non solo a un’Europa indebolita e finita ormai nella morsa di Trump e di Putin, ma a un intero mondo che in questa curva della globalizzazione sembra diventare rapidamente un “mondo delle nazioni”, carico di aggressività. Dovremmo conoscere la sequenza che la storia ci ha consegnato: protezionismo – nazionalismo – guerre. Vogliamo arrivarci a piccoli passi, senza dire nulla?

Opposizione intelligente e articolata, dicevo. Articolarla significa non perseverare diabolicamente in un drammatico errore: non avere operato cioè per impedire la saldatura fra una nuova destra da anni incombente e oggi tendenzialmente egemonica e un movimento ancora in viaggio verso una compiuta identità politica.

Detto questo sull’opposizione, la costruzione di un progetto di alternativa richiede ben altre fatiche. Si deve parlare infatti di un’alternativa non solo a un governo ma, come dicevo, a una nascente egemonia. Infatti, per citare Altan, nella testa di tante persone di sinistra sono entrati pensieri che non condividono. E non se ne vanno facilmente, quei pensieri. Rimangono.

Al tornante della globalizzazione, allo storico passaggio di fase, da sinistra non si sono prese le misure della disarticolazione e dello spaesamento di larghi strati di popolo e di ceto medio ai quali ha parlato la destra regressiva. Su questo, alle sinistre plurali serve ancora una discussione, purtroppo in ritardo di alcuni anni, che dovrà necessariamente accompagnare il percorso. Non per trovare risposte conclusive (per ora non vedo in giro dei Marx, giovani o maturi che siano), ma per evitare almeno, da adesso in poi, gli errori più marchiani.

Vengo dunque al percorso. Per le forze di sinistra e di centrosinistra, il brusco risveglio non è un inedito. Quante volte è avvenuto nella storia! L’ultima volta fu nel ’94. Quel mattino un improbabile nuovo protagonista ci cancellò dalla faccia il sorriso supponente. Come si fece allora per riprendere la strada? (Parlo di metodo e solo di metodo, ovviamente. Non di antiche ricette improponibili). Si fecero allora tre cose. Primo, gli sconfitti, anche avversari fra loro, si parlarono. Secondo, produssero un progetto nuovo. Terzo, misero in campo persone e contenuti nuovi.

Adesso pensiamo di cavarcela con meno? Pensiamo che si possa costruire un’alternativa alla destra stando al di sotto di questo metodo? Chi lo pensa dica la verità: non vuole l’alternativa, vuole campare nella sua cuccia sventolando le sue bandiere.

Se invece prendiamo il percorso giusto, dobbiamo metterci una grande dose di generosità. Generosità dei passi indietro (comincio da me) e soprattutto generosità dei passi avanti, da parte di nuovi protagonisti che sono oggi ai margini della politica, dentro a larghi mondi democratici e di sinistra troppo malati di passività, di opportunismo, di nicodemismo e ancora troppo restii a darsi una mossa.

Ci si muova dunque, si facciano i primi passi, evitando improvvisazioni e formulette e le scorciatoie che allungano la strada. Tutti i soggetti politici in campo, e qualche soggetto sociale, hanno di fronte in queste settimane o mesi appuntamenti congressuali o organizzativi. Peraltro, sarebbe importante che anche protagonisti della vita sociale e civile, ciascuno dalla propria angolatura, organizzassero appuntamenti di discussione sulla svolta in corso nel paese.

Da queste autonome iniziative emergerà la necessaria discontinuità con il passato nelle persone e nelle idee? Emergerà la disponibilità a cambiare e a rinnovarsi? E infine, emergerà la disponibilità a confrontarsi con altri per un’essenziale piattaforma comune, verificandone poi gli schemi politico-organizzativi? Sto dicendo in sostanza che l’ordine del giorno di ogni discussione, in ogni casa politica, deve essere la costruzione dell’alternativa. Il tempo è adesso.

Nella sua piccola dimensione, Liberi e Uguali vuole onorare l’impegno preso: diventare cioè un soggetto politico. Per quel che mi riguarda vedo l’identità e la funzione di Liberi e Uguali nella capacità di portare i contenuti e i valori di una sinistra rinnovata in un campo più largo, e cioè nella costruzione di un’alternativa alla destra. Quanto al Pd, non entro ovviamente nella sua discussione.

Forse mi sarà concesso di esprimere una opinione strettamente tecnica che vale per tutti. Dopo una sconfitta seria non si riparte senza una elaborazione del lutto, e cioè senza un sofferto, esplicito e dichiarato ripensamento (faccio un solo esempio: è così difficile riconoscere che se fosse scattata la combinazione fra Italicum e riforma costituzionale oggi saremmo con mani e piedi in una “democratura”?).

Conclusivamente, cerchiamo di essere onesti con noi stessi e con la nostra gente. Tutti noi, sinistra moderata o radicale, civica o ambientalista, cattolica o laica, tutti abbiamo perso. Tutti siamo stati rifiutati dalle periferie sociali, territoriali, urbane del paese. Può darsi che fra qualche mese ciascuno avrà deciso di salvarsi per conto suo; può darsi che il cambiamento venga negato o interpretato in modo gattopardesco; può darsi che prevalga in ciascuno e in ciascuna generazione l’autoconservazione.

Tutto questo è possibile, ma è a questo che dobbiamo reagire. Si deve sapere che la nuova destra sta entrando nel profondo del paese. E che in Italia una destra cattiva, quando vince, ha l’abitudine di diventare stanziale.

 

One Comment

  1. Graziano

    Non vedo, purtroppo, all’orizzonte ne facce ne soprattutto idee nuove. Quello che abbiamo davanti è un quadro piuttosto desolante, l’ansia di cambiamento ha portato una nuova classe dirigente al potere, che si è rivelata in molti dei suoi rappresentanti, cominciando dal leader rottamatore, incapace di entrare in sintonia con quei pezzi di società che maggiormente hanno sofferto e stanno soffrendo la crisi. Le cose che dice Bersani sono di buon senso e siccome non ce n’è molti in giro che dicono cose di buon senso lo inviterei a rimandare di un po’ il suo passo in dietro.

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