La sfida di Ada Colau: “Rivincere a Barcellona e cambiare l’Europa” [di Steven Forti e Giacomo Russo Spena]
MicroMega.it 3 aprile 2019 Appena uscito in Spagna il libro “Ada Colau, la ciudad en común” di Steven Forti e Giacomo Russo Spena, riedizione aggiornata del libro pubblicato in Italia nel 2016. Ne proponiamo un estratto che illustra le strategie dell’alcaldessa che il 26 maggio prossimo si giocherà la sfida elettorale per la permanenza a sindaca: “Dobbiamo insistere sul municipalismo, soltanto così possiamo contrastare l’ondata nera e costruire una vera alternativa”. E intanto cresce la rete internazionale con le altre città che rappresentano esperienze virtuose nel mondo. Il rinnovamento democratico, la partecipazione, il risanamento delle istituzioni, il grido “Sí, se puede”. È nel municipalismo che Barcelona en Comú ha individuato l’unica opzione possibile. L’ente di prossimità. L’azione concreta come antidoto per incidere nella società e praticare il cambiamento: azioni di cooperazione dal basso, mutualismo, lavoro territoriale. Non si ipotizzano rivoluzioni dall’alto, ma si incita a “pensare facendo”, riecheggiando lo storico “camminare domandando” degli zapatisti. “Il processo elettorale nasce in un contesto di rivoluzione democratica. Dobbiamo esserne orgogliosi: in altri paesi la risposta è stata di tutt’altro segno”, ha dichiarato Ada Colau. Il municipalismo è storicamente il luogo di rottura dal basso, dove la politica è più vicina alle persone, ha a che fare con la qualità della vita. La piazza è la culla della democrazia. Il libro Perché i sindaci dovrebbero governare il mondo di Benjamin Barber ci racconta l’enorme affinità di quattro primi cittadini che amministrano città lontane tra loro come Shanghai, Helsinki, Barcellona, Johannesburg. Quando si riuniscono invece i quattro capi di Stato dei paesi delle rispettive città, faticano a entrare in sintonia dovendo affrontare problematicità differenti. In un mondo articolato su più livelli, gli enti locali occupano l’ultimo posto, vittime di tagli draconiani e politiche di austerity, mentre l’ambito locale finisce per essere il più globale e importante. “È necessario un maggiore decentramento per dare potere ai municipi” afferma l’assessore alla Cultura Joan Subirats, per poi aggiungere: “Va totalmente rovesciata la piramide e bisogna ripartire dai nostri territori”. Le nostre metropoli intese come lo spazio della resistenza e dell’invenzione di nuove forme di vita, libere e tendenzialmente egualitarie. Il luogo dove proliferano conflitti sociali nuovi, forme di cooperazione mutualistica, iniziative culturali indipendenti. Già all’inizio degli anni Duemila, sulla scorta del laboratorio di Porto Alegre in Brasile, si erano avviati discorsi simili ed esperienze di partecipazione all’interno degli enti locali di molti paesi del mondo. Sotto il nome di “nuovo municipalismo” si era fatta strada l’idea che processi partecipativi che coinvolgessero attivamente la cittadinanza potessero riformare “dal basso” le logore istituzioni locali. Si è constatato che quel progetto ha subito nel tempo una battuta d’arresto. E bisognava riformularlo e rilanciarlo. Proprio per questo la sfida neomunicipalista guarda molto più in là delle singole città. C’è l’Europa, in primo luogo, ma in realtà c’è tutto il mondo. Lo si fa con umiltà e senza fretta, seguendo la massima “andiamo piano perché andiamo lontano”. All’interno di Barcelona en Comú, vi è infatti una commissione internazionale che lavora da oltre tre anni a una mappatura dei progetti neomunicipalisti esistenti in tutto il globo: da liste civiche (e fuori dagli schemi della vecchia politica) che governano alcune città, grandi come Napoli o Valparaíso o piccole come l’inglese Frome, a progetti che hanno fatto il salto alla politica e che si trovano ora all’opposizione in Comune come Ciudad Futura a Rosario in Argentina, fino a movimenti con un’agenda municipalista che non hanno ancora deciso di presentarsi a delle elezioni in Italia, Francia, Polonia, Stati Uniti, Germania, Grecia, Danimarca e un’infinità di altri paesi. L’obiettivo è quello di creare una rete municipalista internazionale. La democrazia partecipativa è vista come l’unico antidoto al populismo di destra, ma serve un ampio consenso nella società per metterla in pratica. L’Europa è stretta in una morsa: da un lato il blocco dell’austerity – la tecnocrazia di Maastricht – dall’altro la crescita esponenziale dei partiti sovranisti e xenofobi. Due facce della stessa medaglia. Si lavora per la creazione di un Terzo Spazio, alternativo sia all’austerity che all’internazionalismo nero di Orbán, Le Pen e Salvini. Proprio contro il vicepremier italiano, la sindaca Colau ha utilizzato toni forti: “È il portatore di politiche xenofobe, sessiste e machiste”, dando invece pieno sostegno al sindaco di Riace Mimmo Lucano, sospeso da primo cittadino reo di aver abusato del suo potere per costruire un meccanismo virtuoso di accoglienza. “L’Italia che conosco somiglia molto di più a Mimmo Lucano che a Salvini”, l’auspicio dell’alcaldessa che con Lucano ha stretto un proficuo gemellaggio in nome della solidarietà nei confronti dei migranti.[1] Ma, a Barcellona, si lavora già da tempo per costruire un Terzo Spazio. Dal 9 all’11 giugno 2017 si è tenuto un incontro internazionale chiamato Fearless Cities, città senza paura, a cui hanno partecipato centinaia di progetti neomunicipalisti provenienti dai cinque continenti, per condividere pratiche e tessere relazioni in vista di quello che sarà il nuovo step di questa scommessa: riportare la politica tra le persone, renderla partecipativa, promuovere politiche di accoglienza, rompere le gabbie delle leggi di bilancio schiave dell’austerity. O come ha detto Ada Colau: “Considero che il municipalismo è essenziale per migliorare la nostra democrazia. Questo è il secolo delle donne e il secolo delle città. E il luogo migliore per vivere questo momento politico così appassionante è il municipalismo, che non è altro che l’amministrazione più vicina alla cittadinanza”.[2] L’appuntamento di Fearless Cities è stato ripetuto nel tempo finendo per creare una rete consolidata e transnazionale: nel 2018 si sono tenuti incontri simili a New York, in Polonia, a Bruxelles o a Valparaíso, in Cile. L’ultimo meeting si è svolto nella città di Napoli. Per di più è stato pubblicato un libro, Ciudades sin miedo. Guía del movimiento municipalista global – in catalano, spagnolo, inglese e francese – che raccoglie i frutti di tutte queste esperienze. Non è un caso, dunque, che lo scorso mese di dicembre Ada Colau abbia partecipato all’incontro organizzato in Vermont da Bernie Sanders che con Yannis Varoufakis ha deciso di lanciare una Internazionale progressista. Non si dice nulla di particolarmente originale quando si afferma che il vecchio continente arriva alla scadenza per il rinnovo del Parlamento Europeo della primavera 2019 in uno dei suoi momenti più difficili, dilaniato dalla crescita esponenziale di forze politiche di ispirazione populista e reazionaria e da una crisi profonda di molte delle sinistre che si erano affermate come vincenti, avvinto da una ottusa riproposizione di neo-nazionalismi e neo-sovranismi fondati sulla conservazione del privilegio bianco e sulla difesa dei confini e soprattutto animato da battaglie pantomimiche tra gli stati e la governance europea che discutono di come perpetuare al meglio la guerra ai poveri piuttosto che di come invertire la rotta di una Europa che durante gli ultimi dieci anni ha mostrato ai suoi cittadini un volto arrogante e un comportamento iniquo. È surreale pensare che il desolante panorama che ci ha consegnato un decennio di politiche di rigore sia quello di un continente arrabbiato sì, ma non con chi è stato effettivamente responsabile dell’impoverimento diffuso e delle scelte lacrime e sangue ricadute in maniera pesantissima soprattutto sulle giovani generazioni dei paesi più poveri, ma con un nemico farlocco, costruito a tavolino dalle compagini politiche dell’estrema destra e che si identifica con i migranti, uomini e donne in fuga da fame, guerra e povertà. Le elezioni europee del prossimo maggio, in questo quadro, si presentano come una preziosa occasione di ricostruzione di quel Terzo Spazio tanto invocato: di un’alternativa reale, necessaria innanzitutto a non lasciare il dibattito pubblico europeo al medesimo destino che nell’ultimo anno è toccato al nostro paese e cioè quello della trappola della falsa opposizione tra i partiti della conservazione e della difesa dell’establishment e i partiti dell’odio e della barbarie. Un’occasione preziosa soprattutto a rimettere al centro delle agende nazionali ed europee l’uguaglianza, la solidarietà, le libertà civili, il diritto alla fuga e al movimento, la giustizia sociale, la dignità dei più deboli. Per tale motivo Ada Colau, oltre a sostenere la difficile battaglia per riconfermarsi a sindaca di Barcellona, ha deciso di non snobbare le elezioni europee e di candidare dei propri esponenti di Barcelona en Comú all’interno della candidatura Unidas Podemos Cambiar Europa. Una scelta per contrastare l’avanzata delle destre, a Bruxelles come a Barcellona, animate e finanziate dalla piattaforma promossa dall’ex consigliere di Trump, Steve Bannon, che tra i suoi adepti ha, oltre a Salvini, anche Santiago Abascal. I primi step, però, di questo progetto per andare “oltre la città” sono stati quello catalano e quello spagnolo già pochi mesi dopo la vittoria elettorale alle comunali di maggio 2015. NOTE [1] Il manifesto, 7 ottobre 2018, Ada Colau: “L’Italia che conosco somiglia a Mimmo Lucano, non a Salvini”. [2] Joan Subirats, Ada Colau, Quando i movimenti…, cit. |