Includere le memorie sommerse di Cagliari [di Alessandro Mongili]
Oggi si discute nuovamente di toponomastica. La memoria è una pratica sociale contemporanea alle nostre vite, non un mero deposito inerte o immutabile. Nel nostro caso, il risveglio democratico e indipendentista contemporaneo chiede di fare riemergere le memorie sommerse della nostra storia. Il movimento d’opinione per spostare la statua di Carlo Felice, o per rinominare le strade di Cagliari ne è testimonianza. Molti storici, molti politici se ne scandalizzano. Invece, è normale. Per questo ho chiesto alla redazione di Sardegnasoprattutto di pubblicare nuovamente un mio vecchio intervento, che ho cercato di migliorare. Penso che possa essere utile per il dibattito attuale. Qual è lo stile dello stradario di Cagliari? È da manuale scolastico. Casa Savoia, Risorgimento, Viceré e personaggi dell’élite piemontese “viceregia” o Sardi fedeli ai Savoia. Papi, santi e religiosi. Militari. Luoghi stranieri rivendicati dal nazionalismo fascistoide all’Italia o annessi all’Italia (Fiume, Zara, Pola, Trieste, Trento, Malta, ecc.). Scrittori, solo italiani. Glorie locali, magari amighixeddus di assessori o sindaci dimenticabilissimi. Date nefaste, come il 28 Novembre 1847 (la “Fusione perfetta” con gli Stati di Terraferma) e, fatto più grave, fascisti, e una serie di militari che si sono macchiati di atti atroci nel corso delle aggressioni fasciste in Spagna e nei Paesi che l’Italia ha tentato di colonizzare. Fra di essi, risalta lo stesso Aeroporto di Elmas (oggi fuori dai confini comunali). Fra le vittime del fascismo, mai ricordate, fa eccezione Mafalda di Savoia, e non si capisce bene perché. È stato invece dedicato uno spazio alle vittime degli infoibamenti. In pratica, tutto l’insieme dell’”ecologia scritturale” dei luoghi in cui viviamo è colonizzata e segnata nel profondo da quella fase storica agonizzante che va dalla “scelta della patria” italiana da parte delle élite dominanti, nel XIX secolo, a oggi. Per far posto a uno stradario coloniale sono state cancellate le denominazioni originarie, che ricordavano mestieri, usi popolari, funzioni urbane e caratteri del territorio, praticati per secoli. La storia sociale della città, nella sua imponente stratificazione storica e linguistica, lunga per gli almeno tre millenni di storia di Cagliari, è stata fatta implodere in un paio di episodi, sicuramente secondari nella longue durée, come il Risorgimento o l’Irredentismo patriottardo e fascistoide degli italiani, da noi del tutto incidentalmente condiviso, e anche in modo superficiale. Così, Ruga de is Argiolas (“via delle aie”) e Ruga de is Incastrus sono oggi via Garibaldi (cui è dedicata in sovrappiù anche una Piazza); Ruga Dereta, via Lamarmora; Ruga de is Prateris (degli Argentieri), via Mazzini; Ruga de sa Costa, via Manno; Ruga de su Brugu, Corso V. Emanuele; Pratza de su Mercau, Largo Carlo Felice, Centuscalas, Via Anfiteatro. Pochissimo spazio e risalto è dato alla storia e alla cultura sarda. Via Eleonora d’Arborea è una strada secondaria, nessuna strada è dedicata a Mariano IV d’Arborea, ad Amsicora e Josto, ai Morti di Buggerru, a eventi quali il 28 Aprile (sa dii de s’aciapa nella memoria popolare, oggi “Die de sa Sardigna”), alla rivoluzione operaia cagliaritana del 1906, alla Battaglia di Sanluri del 1409, così come ai Nuraghi (una viuzza a Pirri), alle Domus de Janas, alla Carta de Logu, ai Condaxes e ad altri monumenti materiali e immateriali della nostra esperienza storica. Ancor meno spazio è dedicato all’uso della lingua sarda, che è ridotta nel suo uso ad alcuni nomi di luogo (Via is Guadatzonis, via Sant’Alenixedda), e solo recentemente, grazie ai consiglieri comunali Marco Murgia e Enrico Lobina, utilizzata per denominare gli spazi (“ruga”, “pratza”, “bia”, “strintu”, “stradoni”, “pratzixedda”, “pratzita”, per esempio). L’insieme è provinciale, caratterizzato dal solito servilissimo “siamo italiani meglio degli italiani”. Tutto questo è perfettamente normale. Ovunque, in ogni città, la toponomastica registra la stratificazione storica, ma in modi diversi. In Giappone, com’è noto, non esiste, e anche le megalopoli non hanno indirizzi. Gli indirizzi sono nati in Occidente, assieme al sorgere delle Polizie, e dunque a cavallo del XVIII e del XIX secolo. Altrove, e prima, si procedeva come un tempo nei paesi e nelle campagne sarde, in cui esistevano nomi tradizionali, spesso nuragici e incomprensibili per un sardo moderno, ma che ci riconnettevano con la stratificazione storica. Nelle società in cui il potere dello Stato è diventato pervasivo e performativo, le denominazioni dei luoghi sono diventate campi di battaglia. In generale, i regimi autoritari tendono a uniformarle. Il che non è buon segno per noi, perché la nostra toponomastica è uniforme e totalitaria, non lascia scampo. La memoria collettiva è infatti il frutto di una costruzione sociale che stratifica i suoi esiti. La sua posta in gioco è il passato, o meglio, la ri-costruzione del passato nel presente. Se il passato è la posta in gioco, i luoghi di questa battaglia sono da un lato il linguaggio, dall’altro i punti di riferimento nello spazio e nel tempo, i “quadri sociali della memoria”, come diceva Maurice Halbwachs, l’allievo di Emile Durkheim e grande amico di Marc Bloch, morto a Buchenwald nel 1945. Dunque, come ho detto, gestire il passato nel presente corrisponde a un fare sociale (e sempre più politico) che produce oggetti: monumenti, denominazioni, intitolazioni, ricorrenze, coccarde, ecc. Se si analizza in quest’ottica la toponomastica cagliaritana, essa appare talmente univoca e coerente da non lasciare dubbi. Si tratta di un monumento ininterrotto al dominio e alla mediazione con il dominio, ai padroni di là del mare e ai loro podatari locali. In essa si esprime il tentativo violento e irrispettoso non tanto di egemonia culturale à la Gramsci, ma di dominare e eliminare chi non sia legato ai padroni, ai loro servi locali o agli eroi e alle epiche che ne legittimano il dominio. Nelle società democratiche e liberali, almeno, queste pratiche di memoria hanno esiti più rispettosi. Ad esempio, in California, tutti o quasi i toponimi messicani, precedenti alla conquista USA del 1846, sono ancora usati (così Los Angeles e non The Angels, Laguna Seca e non Dry Lagoon, ecc.), come tanti toponomi nativi. Certo, i padri fondatori degli USA sono spesso ricordati, ma anche gli eroi dei movimenti femminista, sindacale e per i diritti lgbt lo sono. Tutto con grande parsimonia, e producendo un insieme di denominazioni in cui ogni aspetto della storia è monumentalizzato, con grande rispetto per le minoranze, la storia sociale, le persone che nei luoghi hanno sviluppato attività lavorative memorabili, la riscoperta ricorrente di attività, eventi, luoghi, persone la cui memoria era stata sommersa da sconfitte temporanee, da stigmi, da esclusioni. Infatti, una politica democratica della memoria materializzata in denominazioni ha la responsabilità di includere nelle pratiche di memoria anche le memorie sommerse, poiché per tutti coloro che hanno partecipato alla stratificazione storica di cui siamo figli occorre rispetto. Senza tutti loro non saremmo “noi”. Ma a Cagliari questo non avviene. Siamo tutti figli di Lamarmora o di Garibaldi, senza esserlo. La toponomastica come elemento di organizzazione della vita quotidiana Il problema che la stratificazione storica della nostra città e del nostro popolo sia implosa in un solo momento della storia (il Risorgimento, il fascismo o come lo si vuole chiamare, ecc.) è un problema simbolico, culturale. Ma nel nostro caso si tratta di simboli completi, di simboli concreti, che noi ci ritroviamo mentre andiamo a fare la spesa o a prendere un aperitivo. Infatti, nelle società complesse in cui viviamo, il mondo sociale è mediato da testi, da scritture, e da denominazioni di luoghi e di strade. Per muoverci, per organizzare le nostre attività anche banali, per descrivere i territori che attraversiamo e viviamo, abbiamo bisogno di mappe o di riferimenti scritti. La vita quotidiana è plasmata da questa griglia di nomi, da questa infrastruttura scritturale, che caratterizza i contesti nei quali ci nuoviamo. Si tratta dunque di elementi organizzativi della nostra vita. Denominare i luoghi e, come a Cagliari, colonizzare le denominazioni ha l’effetto di monumentalizzare un dominio, un potere, ma rientra nell’uso quotidiano di tutti. Se una bambina vede le strade intitolate a fascisti, a cosiddetti eroi del risorgimento o del colonialismo italiano, ai membri di casa Savoia, in modo ininterrotto come a Cagliari, tutte scritte rigorosamente in italiano, e una viuzza solamente dedicata a Eleonora d’Arborea, avrà maggiore facilità a considerare normale che la storia della Sardegna, la storia delle donne, e la sua appartenenza a questa discendenza non contino nulla, mentre i Garibaldi, le epopee dell’Irredentismo e i cesaribattisti, l’Italia “sublime patria nostra” e tutte queste belle cose, monumentalizzate – anche se tutte estranee alla sua storia di Sarda – siano cose superiori. Infatti, ogni cittadino dà per scontati, nelle sue attività quotidiane, i nomi delle strade, ma le denominazioni non arrivano dal cielo, sono il frutto delle battaglie che i nonni del cittadino hanno perso. Una politica democratica della gestione della memoria è necessaria a Cagliari, e ha la responsabilità di includere nelle pratiche di memoria ufficiali e condivise anche le memorie sommerse. Quindi, la richiesta della ridenominazione delle strade è legittima e aiuta tutti noi ad avere un rapporto più equilibrato col nostro passato. Occorre fare riemergere la memoria della creatività e dell’esperienza storica del popolo cagliaritano, che è sommersa perché la lingua che questo popolo ha creato in più di 1000 anni di storia, il sardo e il sardo parlato a Cagliari, sono sommersi. Non dico che si debba fare come a Venezia o a Barcellona, dove tutte o quasi le denominazioni sono SOLO in veneziano o in catalano! Però, un minimo di rispetto per noi stessi è necessario. La memoria della stratificazione storica, così come si è depositata in modo consuetudinario, deve essere rispettata. Per cui restituiamo alle strade i nomi dei mestieri, degli usi, degli spazi, prima ancora di pensare a ridenominare i luoghi. Sono nomi ricchi e belli, e ci riuniscono alla profondità trimillenaria della nostra storia urbana, al lavoro degli uomini e delle donne, ai nomi di quelle che furono campagne, in periferia. Non possiamo considerare il nostro passato imploso solamente nella vicenda risorgimentale. È pazzesco! Dedichiamo le strade a personaggi con parsimonia, e solo a personaggi importanti. Non facciamo il verso ai Savoia e ai loro servi. Fra di essi, non dimentichiamo le donne, così poco rappresentate, i personaggi eminenti della nostra storia, gli episodi della nostra storia. È un dovere. Conduciamo una battaglia perché nessuna strada sia dedicata a chi si è compromesso con regimi totalitari. Per cui via i fascisti, tutti i fascisti senza nessuna eccezione, di cui Cagliari pullula, compreso l’Aeroporto. E via le strade dedicate a membri di Casa Savoia, soprattutto i più compromessi, a iniziare da Carlo Feroce, un vero boia. |
Cantu tenit arrexoni, Alessandro Mongili! Ma una psicologia e mentalidadi de genti isgonfiada, acaramada e apodhada a terra che àpara de maju, normalmenti depressa, iscallada, no dhu creit importanti a ponni a is arrugas is nòminis de s’istória sua. Una psicologia e cumportamentu de genti civilmenti morta, istérria a tapeto po is dominadoris de turnu.
Un’amministratzioni de custa genia podit agatai su dinai po finantziai fesserias (mancai cun tanti de TV, TG), ma mai a cambiai mancu su nòmini de un’arruga: tropu istrobbu e pagu ‘visibilità’ de bandhire.