Le donne sarde sempre escluse [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione sarda 6 aprile 2019. Il Commento. Assenza più acuta presenza. Il verso di Attilio Bertolucci ben si attaglia a “Le donne nelle cronache de L’Unione Sarda” di M. F. Chiappe, selezione di articoli dedicati da L’Unione alle donne. Da Grazia Deledda all’ordinaria delinquenza, a fatti passionali e, di recente, a politica, professioni, sindacato, imprenditoria. Un piccolo ed efficace monumento alla misoginia, radicata in Sardegna, a smentire matriarcati variamente inventati: l’isola è oggi al quarto posto per la violenza sulle donne. L’attuale misoginia, diffusa e sottotraccia, sarà consegnata alla storia da un’immagine, esemplare su esclusione e disconoscimento delle donne; sul bluff della doppia preferenza che ha costruito la via sarda all’harem politico; sull’intermediazione politica dei maschi. Si tratta di una falange di 7 uomini sulla via per Villa Devoto ma che narra anche di entrambi i “campi”, altrimenti avversari ma complici nel dire che adesso tocca, ad esempio, alla “donna sindaca” o ad un assessorato alle Pari opportunità, assai inconsapevoli del senso e della pratica delle politiche delle pari opportunità, ormai occultati dalla moltiplicazione di organismi nominalistici. Proprio nell’epoca in cui in America le donne si candidano numerose alla Presidenza, contro un presidente il cui sessismo è la spia dei suoi razzismi. Eroiche, si sono recate al Congresso bianco vestite, come le suffragette, perché i diritti delle donne non sono acquisiti una volta per tutte. Nell’epoca in cui una sedicenne svedese fa della sua parola di ragazza uno spazio politico nella difesa di ambiente, suolo, paesaggio, la maschia sarda falange ha rimesso indietro l’orologio su rappresentanza di genere e su sostenibilità, baricentro per giovani e donne. Misoginia dunque è la parola che abita gli articoli selezionati, compresi quelli su frivolezza, mondanità, coqueterie, tutti con i toni della farsa che si ritrovano persino nella tragedia del sequestro di una donna. “Le donne nella cronaca de L’Unione Sarda” non è tanto una storia delle donne quanto della loro percezione in cronaca. I commenti della curatrice sugli stigmi misogini suggeriscono occhi compassionevoli su scienziate, professioniste, intellettuali, politiche, invisibili alla cronaca ma anche su quante iperesposte per tragiche ed ordinarie storie di esclusione. Un’ aneddotica casteddaia quasi maschera popolare: prostitute d’angiporto, zeracchette biddaie, bastardi abbandonati, duelli rusticani. Una città popolana, vicina alle descrizioni di viaggiatori e di scrittori. La loro scena privilegiata è la Marina giacché risiedevano alla Scala di Ferro o al Miramare e il pellegrinaggio nella città murata ed inaccessibile non allarga gli spazi sociali, comunque deserti di donne emancipate che se c’erano non inerivano nell’opinione pubblica. Tra esse Eva Calvino Mameli o Grazia Deledda, ospite di Maria Manca che faticosamente operava in città. La scrittrice nuorese, già firma del giornale, viene ricambiata da questo con quattro righe per il Nobel. Occhieggia qualche madre della Costituzione come Nadia Spano, fattasi sarda, o la democristiana Mariuccia Cocco, operosa parlamentare e prima sottosegretaria. Silenziate quelle che si spesero per l’emancipazione delle sarde col lavoro come Flora Sini, fondatrice del CIF, o Joyce Lussu, o Marianna Bussalai. La loro assenza ha affollato decenni di questo e di altri giornali. Erano consapevoli che il loro golgota avrebbe dato vita alla più grande rivoluzione culturale della storia? Non tutte. Lo era un’élite di aristocratiche e di lavoratrici insieme a intellettuali, scienziate, artiste esiliate dal fascismo. Il loro ethos, fondamento di tante battaglie, ha consentito a tutte di stare nella parola che si va facendo pubblica e politica, superando l’idea di minoranza e la scorciatoia dell’intermediazione maschile che delegittima le mille differenze all’interno della differenza di genere. |