La Regione si ribelli ai pirati della terra [di Maria Antonietta Mongiu]

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Tra i Principi fondamentali della nostra Costituzione campeggia l’art. 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. L’Italia usciva dalla guerra col carico di morte, distruzione, fame. Ma i nostri costituenti ebbero il coraggio di ribadire che la cultura, la ricerca, il paesaggio storico ed artistico sono il denominatore del nostro popolo. Convinti che l’Italia, luogo pedagogico per tutta l’Europa dal Rinascimento, era intreccio irripetibile di natura e cultura, da riconoscere e conservare.

Ebbero certamente presente, visto l’alto profilo culturale e morale di chi redasse l’art. 9, la massima di F. Dostoevski: “la Bellezza salverà il mondo”. Declinabile per l’Italia anche invertendone le parole “l’Italia salverà la Bellezza!” L’Italia analfabeta ma sapiente accolse quell’articolo come l’alfa della democrazia. Non pensò di barattare il territorio per un vantaggio momentaneo.

Cosa sarebbe stato il nostro paese se il paesaggio non fosse stato il cardine della nostra Carta? Lo dobbiamo ribadire specie in Sardegna dove una rappresentazione da cartolina occulta quanto vi accade. Un’ostentata retorica etnocentrica occulta il vero volto delle sue classi dirigenti che mostrano la strutturale debolezza proprio nel contraddittorio rapporto con il territorio, la terra, il paesaggio, il patrimonio culturale materiale ed immateriale. E’ una storia da scrivere e solo ora stiamo costruendo le grammatiche necessarie.

La Sardegna ha tassi di inquinamento tra i più alti in Italia, Porto Torres e Sarroch in testa. Registra la penetrazione della malavita organizzata specie nelle energie rinnovabili, come ha dichiarato il Procuratore capo della Repubblica di Cagliari a Milis nel Convegno del FAI. Assiste alla perdita di sovranità di chi è legittimo proprietario di terre e vuole lavorarci perché l’iter autorizzativo sulle rinnovabili passa sulla testa delle istituzioni autonomistiche.

Accoglie quote insopportabili di servitù militari senza garanzie su inquinamento, bonifiche, benefici alle popolazioni. Importa l’80% di ciò che consuma e intanto territori vocati all’agricoltura vengono destinati ad improbabili sperimentazioni per produrre energia che nell’isola eccede del 40% mentre la comunità regionale paga bollette salate. Pirati di terra e di energia trovano disponibilità ed intermediazioni che fanno ricchi pochi, alternativa al cemento sulle coste ma altrettanto devastanti perché l’isola sarà un’ininterrotta cattedrale nel deserto da smaltire.

Chi oggi difende la terra è il vero erede di chi si batté per darci la democrazia. La salute del suolo e del paesaggio misura il tasso di democrazia di un popolo e dei decisori. Chi li consuma indiscriminatamente ci toglie democrazia perché aliena il bene comune e il diritto al lavoro e alla bellezza. In attesa di leggi nazionali Lombardia e Toscana, in forme differenti, hanno emanato norme sul consumo di suolo.

La Sardegna che per prima nel 2006 scrisse il PPR in coerenza con il Codice dei beni culturali oggi dove si situa? In una fase in cui preoccupa l’emendamento alla Legge di Stabilità che proroga per il 2015 la possibilità di utilizzare almeno il 50% degli oneri di urbanizzazione per le spese correnti dei Comuni, ha qualcosa da dire? La Sardegna tace in una situazione in cui il “Decreto Sblocca Italia” tradisce lo spirito dei costituenti perché aggira il Codice dei beni culturali – che nel 2004 applicò la “Convenzione europea del paesaggio” e l’art.9 della Costituzione – e introduce deroghe specie negli articoli che il FAI contesta (17, 25, 26, 37).

Emana il DGR 39/2 del 10/10/2014, a cui si oppongono le associazioni ambientalistiche, con cui il Piano casa della precedente giunta da eccezione diventa di fatto regola di governo del territorio. Sulla giunta Pigliaru pende il sospetto di una scelta di campo quantomeno ambigua sul paesaggio e sul patrimonio culturale. Se si somma il recente DGR 39/2 con gli altri comportamenti il pericolo per le sorti del territorio è reale.

Alla luce di queste pratiche non stupisce che si avviino grandi infrastrutturazioni senza le necessarie e preventive valutazioni. Delegittimare, in corso d’opera, l’operato degli organismi tecnici dell’amministrazione regionale, obbligati ad applicare le leggi preoccupa perché chi governa deve essere in prima persona il garante delle regole specie di quelle che tutelano specificità delicatissime come le aree SIC e la rete Natura 2000.

Mettere poi in concorrenza quanti credono nella Costituzione, nello Statuto, nelle regole col bisogno di lavoro fa rimpiangere il senso delle istituzioni e l’austerità anche verbale dei padri e delle madri costituenti.

*Un’edizione appena ridotta è stata pubblicata da La Nuova Sardegna il 10/12/2014

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