In fila per parlare di arte e di bellezza [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda, 7 ottobre 2015. Il declino dell’urbano e dei suoi paessaggi al centro della politica. Bene hanno fatto nei giorni scorsi l’Ordine degli ingegneri e lunedì la Fondazione Segni a sollevare il velo di Maya che, sempre più denso, occulta l’evidenza.

Non si tratta però dell’autocefalia di Cagliari quanto del tema del declino dell’urbano e dei suoi paesaggi. Un paradosso? Non proprio. Ci si ostina infatti a tematizzare lo spopolamento della Sardegna, declassata ad immensa area interna, per colpa della capitale.

Si persiste nel contrasto città-campagna come se si vivesse un eterno dopoguerra e una perenne Commissione Medici, in attesa di messianici Piani di Rinascita e interventi a pioggia. Quelli che hanno devastato città e campagne che, alla prima pioggia, si sbriciolano con la dignità. Il bradisismo come l’ha chiamato Arturo Parisi riguarda la Sardegna tutta.

Uno sguardo a Olbia ed a Cagliari dà la giusta prospettiva. Olbia è di lunga durata come Cagliari. Fu preistorica e fenicia. I greci di Focea prima di fondare Marsiglia la chiamarono felice. Oggi è devastata da decisori e progettisti che ne hanno ignorato storia e geografia.

Cagliari, da sempre sintesi tra Sardegna e Mediterraneo e sfaccettato immaginario dei sardi, è, come Olbia, la foto di una crisi. Che è strutturale.

Sa cosa vuol essere domani? Passatista e melanconica, simula come una nobile decaduta e nega il presente che è depauperamento antropico; degrado del centro storico che si è fatto finta fosse l’economia della birretta.

Chiostri medievali e rinascimentali privatizzati, per diventare chissà cosa, sono la metafora. Lo è il cemento che si sfalda in Cittadella.

La speranza? Ammettere il malessere e centinaia di persone in fila per discutere di arte e di bellezza. Incontrarsi e mescolarsi rifonda i luoghi e le comunità, in città come in campagna. I decisori ascoltino.

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