Forma Kalaris ottanta anni dopo [di Franco Masala]
Molti degli interventi che hanno animato la recente FAI Marathon hanno rivisitato dieci piazze di Cagliari attraverso il lungo tempo della loro storia e hanno dovuto tener conto – nel bene e nel male – di un libro fondamentale della storia della città. È Forma Kalaris di Dionigi Scano, pubblicato nel 1934, quindi esattamente ottanta anni fa. Il volume è corredato di numerose piante della città dalle origini agli “anni del consenso” tanto da sottolineare il cammino compiuto dal capoluogo isolano sotto il regime fascista. Il lavoro di Scano – ingegnere, già Soprintendente ai monumenti, progettista – affronta lo sviluppo urbano di Cagliari che a fronte dei tradizionali luoghi storici (Castello con le “appendici” Marina, Stampace e Villanova) rivelava l’espansione inarrestabile, cominciata dopo la dismissione ufficiale delle fortificazioni (1866) e continuata con la “discesa a mare” del nuovo Palazzo Comunale nella via Roma nei primi anni del Novecento. Circa ottanta fa quindi il volto di Cagliari era quello della città “borghese” formatasi tra Ottocento e Novecento dopo aver superato i limiti della città murata in seguito alle vicende che portarono alla demolizione delle fortificazioni della Marina, in perfetta concomitanza con il modello seguito in molte città europee da Parigi a Vienna, a Firenze, che considerava ormai antiquati quei sistemi di difesa. Che poi alcune teorie di Dionigi Scano – il tracciato “romano” della Marina, per esempio, rimesso in discussione dai risultati di recenti scavi archeologici nel quartiere – siano oggi superate è un aspetto che non inficia l’accuratezza della ricerca archivistica e storica dello studioso, soprattutto nella prima versione del saggio, pubblicata nel 1922 in “Archivio Storico Sardo” con il sottotitolo Stradario storico della città e dei sobborghi di Cagliari dal XIII al XIX secolo. Testo base comunque per affrontare la storia urbana e i problemi dell’oggi. Il progressivo dilagare della città oltre le mura ha conosciuto un impulso particolare dopo i tragici eventi bellici del 1943, occupando spazi che hanno portato il capoluogo della regione a unirsi con i centri limitrofi in un’unica grande conurbazione. Nel futuro più prossimo, dunque, la città metropolitana dovrà necessariamente rivedere il ruolo di Cagliari anche in rapporto a un territorio nel quale – è bene ricordarlo – risiede quasi un terzo della popolazione dell’isola. Ora che l’assegnazione di Capitale europea della cultura è un sogno infranto (o una scommessa perduta ?) sarà bene ripartire da qui per ripensare alla città e al suo hinterland in una visione globale.
|
Non ci sono nè sogni infranti o scommesse perdute ma come scrive oggi Giovanni Scipioni sulla Repubblica bisogna credere nel patrimonio delle città sconfitte.Tutte le cittàhanno infatti usato la candidatura per importanti investimenti culturali con l’obiettivo di un riconoscimento immediato o prossimo venturo.Per questo non ci sono sconfitti ma solo vincitori.Ora è necessario che tutte le città continuino su questa strada.Chi si ferma non solo è perduto,ma scende in fondo alla classifica della cultura col rischio di retrocedere.
È esattamente ciò che si auspica ma mi permetto di ribadire che ho qualche dubbio sui progetti futuri, appunto perché conosco Cagliari. Una città che ha impiegato 50 anni prima di inaugurare il teatro che sostituiva il Civico distrutto dalle bombe; una città che ha rigettato il museo del Betile; una città che ha inaugurato il Parco della musica oltre tre anni fa e ancora non vede né il parcheggio nella sua interezza né il resto degli edifici aperti, direi che qualche perplessità può suscitarla. Ben vengano poi i fatti che mi smentiranno. E anche un pensiero reverente a Emilio Bonfis (pseudonimo di Efisio Bacaredda, padre del sindaco Ottone) che nel 1884 scriveva: “Il periodo ordinario di incubazione per ogni opera, anche la meno ardua e la più urgente, è per Cagliari affare cui spesso non basta la vita media di un uomo. Dal germe, o idea madre, allo sviluppo di essa, occorre almeno un corso di trenta o quaranta anni”. (Cagliari ai miei tempi, 1884)