Un PD uno e trino [di Andrea Sotgiu]

Trivelle-offshore

Quanti elettori sardi sono andati a votare? 442.936. Non è numero che rimanda a tonfi se si considera il battage renziano, la poca informazione nel merito del quesito, la tendenza in Sardegna all’astensionismo che la stampa e gli analisti nazionali ignorano. Numericamente siamo irrilevanti e con classi dirigenti inesistenti sul piano nazionale come mai era accaduto. Perché allora si dovrebbero occupare di noi? Perchè la Sardegna come altri  luoghi marginali traccia tendenze che nel tempo diventano dirompenti.

A scavare nelle faccende sarde infatti l’affluenza alle urne di domenica 17 non è una disfatta specie se si confrontano i numeri con quelli che hanno portato in Europa il segretario del PD e l’attuale presidente della Regione in Viale Trento. Non è eccessivo dire di conseguenza che entrambi da questa prova escono politicamente ridimensionati. Il loro destino d’altronde è indissolubilmente intrecciato e ciò spiega forse le molte nubi che incombono sulla Sardegna.

Perché a semplificare ma ad essere realisti, va detto che coloro che domenica sono andati a votare non hanno ascoltato il segretario del PD che ha stigmatizzato l’inutilità di uno strumento fondante il sistema democratico. Dei votanti poi il 92,40 % ha votato per il Sì, disattendendo anche  il presidente della Regione che ha votato per il No. L’autorevolezza sua e dei politici amletici che alla fine hanno optato per il No o che hanno praticato l’astensionismo non è evidentemente molto solida.

Qualcuno addirittura,  a commento dell’esito del Referendum, ha detto che nessuno dei proponenti il Sì è stato, ai suoi occhi, convincente. Chissà dove era quando il Consiglio regionale votava compattamente per il Referendum. Sono i misteri di questa classe politica che si trova ad essere classe dirigente a sua insaputa.

Se poi  si guarda il numero di voti disaggregato per comune, si noterà che le percentuali maggiori di voto corrispondono ai paesi dove la minaccia di ricerca di gas o di fonti energetiche geotermiche o l’invasione delle rinnovabili per fare affari  si è fatta concreta. Negli uffici regionali  giacciono numerose richieste di autorizzazione che dopo questo referendum potrebbero essere sbloccate. Una sorta di trivelliamo il trivellabile corre il rischio di impadronirsi dell’isola.

Il nuovo Piano Energetico Regionale d’altronde è referente di una filosofia che  inquieta peggio delle seconde e terze case di un tempo perché fa vedere che chi governa in questo momento la Sardegna ha retrodatato l’orologio a 40/50 anni fa. Si riparla di centrali a carbone, di navi gasiere, di depositi nei porti, di reti del metano che attraverseranno tutti i comuni della Sardegna!

Dopo la trasmissione Report di domenica 17 – di cui qui ha scritto Sergio Vacca – al netto di semplificazioni e di qualche disinformazione la foto che la Regione Sardegna ha mostrato in tema di energia e di industria è l’assoluta inadeguatezza. In confronto Cappellacci era mille miglia avanti, nella speranza di non doverlo,  tra non molto, annoverare tra gli ambientalisti e persino tra i sovranisti.

Su tutte incombe una domanda. L’attuale presidente della Regione faceva o no parte della giunta che varò il primo PPR d’Italia?  Vero è che è un’incompiuta e che l’attuale giunta da lui presieduta non fa passi avanti per completarne l’iter. Altro che Sardegna regione europea più tutelata e con un futuro fondato sulla sostenibilità  di un paesaggio recuperato e risanato. A conti fatti chiacchiere se è vero che persino chi firmò quel progetto di Sardegna non è più pervenuto da tempo e non solo in tema ambientale e paesaggistico.

Il voto di domenica in Sardegna dice anche che non è stata dissipata quell’idea di Sardegna che veniva da lontano e che forse aveva scelto un front man sbagliato o inadatto.  Quel quasi mezzo milione di voti sta lì a dimostrarlo. E’ tempo dunque che le coscienze siano sempre più avvertite e vigili nei confronti di questi gruppi al potere e soprattutto  di questa giunta e di questa maggioranza, arruffate e pasticcione,  in cui un capobastone smentisce l’altro senza che ci sia mai una sintesi politica.

Domenica in Sardegna il segnale è stato forte. Un terzo dei sardi ha esplicitato che vuole un modello di sviluppo diverso da quello praticato dall’attuale maggioranza. Un terzo dei sardi non accetta che la propria terra sia una piattaforma energetica per il Qatar e per il continente italiano.

Se questo risultato è stato raggiunto lo si deve soprattutto ai movimenti che in questi anni hanno contestato aspramente le scelte energetiche e nazionali e sarde e a luoghi  come questa rivista aperti alla discussione.

Si tratta di donne e uomini che non accettano che i propri luoghi vengano sconvolti, che i tanto decantati posti di lavoro non esistano e dove compaiono siano inferiori a quelli che cancellano. Questa è la realtà che la domenica referendaria ha rivelato in Sardegna. Una realtà politica che ha espresso più voti di quanti furono necessari per l’elezione di chi governa oggi in Regione. Ed è il PD il luogo dello scontro. Il partito che aveva fatto della partecipazione la cifra del suo impegno e che nei fatti lo nega, costretto da Renzi.

Un partito che in Sardegna si allinea alle scelte nazionali senza se e senza ma. Come non era mai successo nel PCI o nella DC. Scelte in parte contestate dal presidente del Consiglio regionale Ganau, promotore insieme ad altri consigli regionali del Referendum. Scelta contestata da iscritti e militanti, da consiglieri e sindaci di quel partito.  Un partito diviso in almeno tre parti e che fatica sempre di più a raggiungere una sua unità su di un tema fondamentale: il destino della Sardegna.

 

 

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