Politica come un campionato [di Alessandro Mongili]

pigliaru

Ho vinto, e avete perso. Altrimenti, porto via la palla. Le orrende dichiarazioni del Presidente del Consiglio subito dopo la chiusura delle urne, domenica scorsa, ci riportano alla situazione che viviamo, e in modo brutale. Quello che è successo domenica scorsa in Sardegna e in Italia deve farci riflettere. Un referendum anodino, convocato da una parte della classe politica per opporsi alla lobby del petrolio è stato neutralizzato dall’astensione, richiesta a gran voce dalle massime cariche dello Stato. Un movimento spontaneo ha visto in questa occasione (che avrebbe potuto riguardare probabilmente anche il divieto di mangiare gli spaghetti usando un cucchiaio) la possibilità di aprire una breccia nel regime renziano in cui ci troviamo a vivacchiare.

Non esisteva praticamente alcun collegamento fra chi ha organizzato il referendum, cioè una parte del PD e altre forze politiche molto establishment, e gli elettori che sono accorsi a votare contro Renzi, contro Pigliaru, contro il nostro grottesco presente e la zerità dei nostri politici. I promotori hanno chiesto i referendum all’interno di uno scontro tutto interno alla classe politica, e la società civile si è impossessata di questo scontro prescindendo dalle ragioni e dagli scopi di chi l’ha indetto. Lo stesso tema della consultazione è diventato secondario ed è stato tradotto e assorbito da un generico spirito ecologista che si è mostrato incapace di creare consenso, anche per il carattere spesso ideologico e astratto di quel movimento.

Il terribile Presidente Renzi, ipnotizzato dalla dimensione del “campo di calcio” in cui solo i giocatori sono importanti, e la gente sta sugli spalti, se l’è presa in modo comico contro l’allenatore della squadra avversaria, un politico pugliese, dimenticando tutto il resto. Eppure, 1/3 del Paese non è poco. Peccato che non abbia una rappresentanza in grado di trasformarlo in un dato politico che possa liberarci dalla sgangherata compagine che ci governa, sia a Roma che a Cagliari.

In Sardegna è facile scorgere, al di là delle aree della nostra terra in cui è stata forte la mobilitazione contro le trivelle (l’Arborea), un moto di ripulsa contro il comportamento del Presidente della Regione. Egli è intervenuto in modo ripetuto. Prima ha rilasciato una confusa dichiarazione su Facebook, che in sintesi è stato necessario tradurre in italiano corrente. In essa l’economista sassarese si è allineato all’ordine renziano, anzi no (alla fine è andato a votare No). Il vicepresidente Paci, anima della Giunta, ha invece espresso un allineamento totale al Capo. Peccato che la Sardegna fosse promotrice del Referendum.

Ma, in fondo, chi se ne frega della Sardegna, giusto? In seguito se l’è cantata e se l’è suonata in una sterminata intervista su L’Unione Sarda, da cui abbiamo capito che viviamo nel migliore dei mondi possibili, grazie naturalmente a questa agGiunta. In fondo ci sono alcuni problemucci, come ad esempio lo scardinamento del già fatiscente regime della mobilità aerea a favore di un ritorno agli anni ’90, o la disoccupazione giovanile, o l’assenza di una politica di sviluppo, o l’attacco definitivo al nostro patrimonio culturale, in particolare quello linguistico, con la speranza di estinguerlo. Però, nulla che le misure in studio nelle segrete stanze dell’agGiunta non possano affrontare e risolvere.

Infine, dopo l’esito del Referendum e l’intervento dell’Amato Leader in diretta tv, ci ha offerto la chiave del pensiero politico pigliaresco come un dono che non ci aspettavamo. Hanno vinto, ha dichiarato il nostro Presidente, il “buon senso e la concretezza”, le “risposte ragionevoli”. Ha perso chi è schiavo di “ideologismi astratti”. Tradotto, il domani che doveva cominciare è uno ieri continuo. Non montiamoci la testa, il modello di “sviluppo” (in realtà, di distruzione della Sardegna) impostato negli anni della Rinascita non cambierà. La transizione sarà dolce e nel frattempo saremo tutti morti.

In questo, Pigliaru si mostra come il vero leader della conservazione. Dietro di lui una consistente fascia di elettori sardi, in piena legittimità, non vuole cambiare gli assetti principali del sistema che ha modernizzato la Sardegna, quasi annichilendola. Sono gli stessi che pensano che tutto questo sia perfino ragionevole, abbia senso, e sono coloro che si sono accodati alle indicazioni renziane di astensione, che credono che non si possa far altro che salvare tutte le Alcoe del mondo con i soldi pubblici, svendere le proprietà regionali e finanziare l’emigrazione.

Sono quelli che pensano che sia meglio imparare l’inglese invece (perché poi “invece”, dovrei proprio capirlo…) del sardo, che deve sparire perché è grezzo, che si esaltano se qualche oscura agenzia di rating non sarda li premia, in genere per cosucce di poco peso, che chiudono le scuole nei piccoli paesi ma montano sistemi di videosorveglianza, che fanno scappare le low cost senza farci caso, e che vorrebbero tanto essere nati altrove.

Loro sono Pigliaru, e Pigliaru è loro. E sono, sinora, la maggioranza.

3 Comments

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  2. Giuseppe Aresu

    L’asprezza nei confronti dei due presidenti è sovrabbondante, credo. Mi domando quali motivi portano l’autore dell’articolo a tale approccio. Perché il Presidente della Giunta, con il citato Assessore, “vorrebbero tanto essere nati altrove”? Affermazione gratuita.

  3. Alessandro Mongili

    Gent.mo Giuseppe Aresu, la ringrazio per la sua osservazione. Credo di aver sviluppato un ragionamento complessivo di cui lei scorge un aspetto, diciamo antropologico, che in effetti si ricollega a considerazioni che ho sviluppato anche altrove in modo più dettagliato, ad esempio in questo mio libro di cui le consiglio la lettura (http://www.condaghes.com/scheda.asp?id=978-88-7356-904-6&ver=it). Si tratta di un atteggiamento diffusissimo all’interno delle élite modernizzanti dei luoghi etichettati come “arretrati”, come è la Sardegna. Direi un atteggiamento classico e che non può essere certo letto secondo una visione personalistica, che la invito a lasciare da parte. Sia Pigliaru che Paci, sul piano personale, infatti, godono della mia stima. Non è certo questo il problema. E’ la loro politica che non mi piace e, se vuole, anche il loro “senso comune”, ciò che danno per scontato, che è quello classico delle élite modernizzanti sarde. Come diceva Antonio Gramsci, sono “più stranieri rispetto al loro popolo degli stranieri veri”.
    Credo che il mio ragionamento debba essere letto in modo più direttamente politico di quanto lei non abbia fatto, anche se, come si dice, il lettore è sovrano. Se lei crede che tutto si riduca all’aspetto personalistico, è libero di farlo, ma le segnalo che si tratta di un approccio un po’ mortificante.

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