Costa d’Avorio: Je reste [di Maria Giuseppina Ledda]

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“Se volete che una coincidenza significativa cambi la storia della vostra vita, vagabondate a caso per il mondo e siate pronti ad accogliere qualsiasi cosa la vita vi offra” , ha scritto Robert Hopke nel suo libro “Nulla succede per caso” . L’incontro con padre Benjamin Konè è stato casuale, ma la decisione di raccogliere l’invito a visitare il suo paese e ad approfondire i contenuti della missione della Onlus “Demain aujourd’hui” non è avvenuta per caso. Forse esistono davvero quelli che Jung definiva “eventi sincronistici”, fenomeni in grado di cambiare il nostro modo di vedere il mondo e di aprirci nuove prospettive.

La Sardegna è più vicina all’Africa che all’ltalia e da tempo avvertivo il richiamo di questo continente separato dalla nostra isola da meno di 200 km di mare. Il viaggio è nato così, sulla spinta del desiderio  di visitare terre ancora selvagge e affascinanti da cui noi tutti proveniamo e di  sapere, di capire cos’è la vita lontana dagli standard occidentali di “benessere” . Il desiderio è stato soprattutto quello di guardarle dritte negli occhi queste terre, fuori dagli stereotipi dei tramonti incantati e delle sconfinate distese di palmizi e noci di cocco.

Con le mie fotografie ho cercato di raccontare questo paese, La Repubblica della Costa d’Avorio,  attraverso le persone che ho incontrato lungo il mio percorso, partendo da tutti gli sguardi che hanno incrociato i miei. La decisione di non riprendere i soggetti a loro insaputa ha forse prodotto scatti meno accattivanti, ma la scelta di avvicinarmi alle persone mi ha permesso di interagire con loro in maniera più diretta e di catturare gli umori e l’allegria interiore di questo popolo.

Lo Stato della Cote d’Ivoire è la seconda economia in Africa occidentale. E’ tra i principali esportatori mondiali di cacao e di anacardi, è produttore ed esportatore di caffè e di olio di palma, presenta un enorme potenziale economico. La guerra civile del 2002 ha segnato profondamente il paese che dal 2007 ha raggiunto una certa stabilità.  Malgrado tutti gli sforzi del governo per affrontare la sicurezza e le sfide economiche, il paese rimane tuttavia molto fragile con un’economia povera e instabile.  Oltre il 50% degli abitanti vive sotto la soglia della povertà.

Il viaggio è cominciato ad Abidjan, un’aerea metropolitana di sei milioni di abitanti, caotica e popolata da una umanità in continuo movimento. Dall’aeroporto si arriva al centro passando per il quartiere finanziario Le Plateau. Quando però si entra nei quartieri di Treichville e di Attè Coubè, e i grattacieli lasciano il posto ai tetti di lamiera, plastica e cartone delle baraccopoli, arrivano i primi colpi al cuore e per un attimo manca il respiro. Eppure Abidjan, nonostante la miseria e la fatiscenza, rappresenta la zona benestante del paese. La povertà, quella vera, s’incontra andando verso le regioni del  centro nord, quelle al confine con la Guinea e Burkina Faso.

Dopo aver avvistato le prime baracche di Katiolà e Bouakè ed essermi aggirata per i villaggi circostanti, mi sono chiesta come si potesse vivere in quelle condizioni e cosa  spingesse le persone a sopportare tutta quella miseria e a restare. Questo interrogativo ha accompagnato incessantemente il mio viaggio. Ho visto una terra meravigliosa e piena di contrasti, con persone che vivono nel lusso e altre che sopravvivono con meno di 70 centesimi al giorno, in capanne fatiscenti o in case luride, senza acqua né elettricità. Ho visto bambini coperti di stracci, altri nudi coperti solo di fango e di polvere ma con voglia di vivere, nonostante tutto. Ho visto persone fiere e combattive che per niente al mondo lascerebbero il loro paese.

Saramago ha scritto che la fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Io credo che al termine di ogni viaggio scopriamo nuovi luoghi e cose che possono cambiare le nostre prospettive e le nostre convinzioni. Al termine del mio in Costa d’Avorio ho trovato anche la risposta alla domanda che mi ha accompagnato. Ho capito che c’è un’Africa che fugge e un’Africa che vuole restare.

C’è un’Africa disperata che vive ai margini di quello che chiamiamo terzo mondo sognando il benessere europeo e c’è un’Africa fiera, che sogna di valorizzare le proprie ricchezze e di creare benessere per i suoi abitanti. Ho conosciuto  giovani africani che fanno del “Je reste’’ il loro grido di battaglia. ‘‘Je reste’’ è anche il titolo dell’ultimo album del cantante reggae ivoriano Ismaël Isaac,  che incita la gioventù africana a rinunciare all’avventura della partenza. Nel  bellissimo  brano  intitolato “Lampedusa” la canzone recita: “Sì, io resto. Non possiamo partire tutti, altrimenti chi potrà costruire la nostra Africa?”.

Noi occidentali possiamo continuare a costruire muri di mattoni e muri di parole per chiuderci nel nostro piccolo mondo e difendere i nostri privilegi, ma il mondo è uno solo. E’ unico e nessun confine, geografico o politico, può cambiare l’essenza di questa verità.

*Dirigente Medico Neuropsichiatra Infantile presso la Clinica di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, Ospedale pediatrico Microcitemico, Cagliari. **Appassionata di fotografia, ha realizzato un report d’immagini sulla Costa d’Avorio.

One Comment

  1. Luca

    Il mal d’Africa l’ha pervasa. Il tutto si evince e mi appare contagioso. Complimenti Giuseppina

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