Vogliamo parlare di religioni? [di Italo Ferrari]

JERUSALEM, ISRAEL - APRIL 21:  (ISRAEL OUT) Thousands of Israelis attend the Annual Cohanim prayer, or Priest's blessing, for the Pesach (Passover) holiday, on April 21, 2011. at the Western Wall in Jerusalem's old city. Thousands of Jews make the pilgrimage to Jerusalem during Pesach, which commemorates the Israelites' exodus from Egypt some 3,500 years ago.  (Photo by Uriel Sinai/Getty Images)

Nella congerie di opinioni e punti di vista che occupa il campo , dando origine a dispute feroci fra i sostenitori di contrapposte teorie e trascinando i più nella convinzione di uno scontro inevitabile fra religioni e culture distinte, sono utili alcune riflessioni sulle origini dei credo soprattutto su quello ebraico e sul cristiano i cui legami sono forti e inscindibili. La cosiddetta scuola di Torino fondata dal Prof. Sacchi ha dimostrato che tra la fine del millennio a. C. e il secolo d. C. si deve parlare di diverse correnti di ebraismo, in aspra polemica fra loro, in una sorta di magma culturale e politico fortemente creativo.

Dalla situazione sono emerse due correnti religioso-culturali: il rabbinismo e il cristianesimo. In un primo momento, la corrente più forte fu il rabbinismo, nella rigida  opposizione all’omologazione e allo scioglimento nella cultura latino-ellenistica, di cui è stata un’ espressione l’epoca dell’imperatore Adriano. Per ottenere questo, il rabbinismo impose regole ferree e ostituì la patria perduta con la propria tradizione intesa in senso restrittivo, sostituendo la Sinagoga al Tempio distrutto e rifiutando ogni compromissione culturale con l’ambiente esterno. E così, tra alti e bassi, si è mantenuto sino ad oggi.

Il cristianesimo  ha visto bloccato il suo proselitismo in campo ebraico e ha iniziato una lunga, lenta ma sicura inculturazione nel mondo latino-ellenistico, perché il messaggio che portava era essenziale. Ma nel compiere questo cammino ci ha lasciato qualche penna, compromettendo la visione purissima che l’ebraismo ha di Dio. E questo lo si vede anche oggi: ci sono incrostazioni di paganesimo e di idolatria che sembra impossibile eliminare. Dio non è più l’Ente solitario e trascendente invisibile e potentissimo al quale il credente si affida ma è circondato da santi, angeli, arcangeli, cherubini troni e chi più ne ha più ne metta che si confrontano con l’al di là pagano dove imperavano Giove e tutti gli altri dèi.

Ci sono peraltro aspetti del cristianesimo che è impossibile comprendere se prima non si studiano i complessi aspetti dell’ebraismo. Mi è capitato di esprimere questo concetto sinteticamente così: per essere veramente cristiani, bisogna diventare prima ebrei. Mi hanno naturalmente chiesto se intendevo che bisogna farsi circoncidere e adempiere alle 613 mizwot e ho risposto: evidentemente no, me ne guardo bene. Quindi non uso più questa espressione sintetica perché evidentemente si presta ad un grave equivoco.

Vorrei  aggiungere due cose. La prima riguarda il confronto fra sabato ebraico, cioè lo shabbath, e la domenica cristiana,cioè il dies domini. Per cercare di smussare le asperità nel colloquio ebraico-cristiano che è ripreso da poco più di cinquanta anni dopo più di mille ottocento di silenzio, si dice che la domenica cristiana e il sabato giudaico sono concettualmente paragonabili e sostanzialmente simili, la differenza consistendo essenzialmente nella rigidità con la quale viene osservato il sabato ebraico. Per me non c’è niente di più falso perché in questo modo si guarda solo all’aspetto laico della festività.

Lo shabbath è il giorno del riposo di Dio che con esso completa la creazione, cioè segna una fine, un completamento una conclusione. Il Dies Domini segna la resurrezione di Gesù e cioè la sua definitiva rivelazione come Cristo ed inizia una nuova storia che anticipa l’escatologia, cioè segna un inizio, una apertura al futuro, un cominciamento – come direbbero i nostri padri.

Altro punto di differenza fra le due religioni è nel significato di fondo del Primo e del Secondo Testamento (è sicuramente più corretto indicarli in questo modo invece che Antico e Nuovo Testamento).  Nel primo la ricerca di Dio (come popolo e come singole persone) deve essere perseguita in ogni aspetto della vita collettiva e individuale, anche nelle fasi più cruente e più controverse, come  guerre e tradimenti, perché non c’è attimo o azione della vita che non si svolga davanti a Dio; come si dice: l’ebreo è con Dio o contro Dio, mai senza Dio. Il Secondo Testamento mostra che la testimonianza dell’evento divino non può che passare attraverso uomini indipendentemente dal loro essere degni o meno degni o assolutamente indegni; e che l’evento non può essere compreso se non a partire da una ermeneutica di azioni e parole umanissime.

Queste riflessioni su due dei più significativi credo religiosi, che non pretendono di chiarire un argomento così complesso com’è quello dell’ermeneutica religiosa, possono essere utili ad allargare la visuale anche verso altre religioni e svelenire l’ ostilità da “guerra santa” in cui si stanno determinando convincimenti generalizzati e pericolosi.

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