Il Romanico in Sardegna (3) [di Giuseppina Deligia]
A seguito delle donazioni fatte dai giudici e dalle famiglie della nobiltà sarda si verificò infatti uno sviluppo dei territori dove furono edificati i monasteri con un conseguente loro ripopolamento. Tale fenomeno si spiega col fatto che i monasteri erano dei veri e propri centri di produzione attorno al quale gravitavano contadini, pastori, artigiani e le loro famiglie. La missione civilizzatrice dei benedettini in Sardegna è tutt’oggi testimoniata dalle bellissime chiese che costellano il territorio, per la costruzione delle quali vennero chiamate maestranze straniere pronte ad assecondare i gusti dei committenti. È per questo motivo che ritroviamo menzionati dei mastros pisanos in quei cantieri dove più forte era l’influsso delle colonie e del gusto pisano, come la basilica di San Gavino di Porto Torres o l’abbazia di Santa Trinità di Saccargia in territorio di Codrongianus. Allo stesso modo operavano maestranze francesi nelle chiese appartenenti all’ordine di San Vittore di Marsiglia, come si può riscontrare nelle splendide architetture di Santa Maria di Uta e di Santa Maria di Sibiòla a Serdìana. Le influenze continentali sulla cultura nostrana sono dunque ancor oggi facilmente rintracciabili nelle architetture conservatesi, ma non dobbiamo pensare che queste maestranze provenienti dal continente, una volta giunte sul suolo sardo non si siano confrontate con quelli che erano il gusto e le conoscenze tecniche dei costruttori locali. Lungi dall’essere una mera imitazione delle forme di importazione, la produzione artistica isolana infatti ha raggiunto alcuni tratti di originalità che la differenziano dal romanico sviluppatosi nel Continente, in particolare nelle aree d’influenza del romanico-pisano. Ad esempio, al contrario di quello che si può riscontrare in Toscana, nell’Isola si ritrovano edifici interamente voltati in pietra. La presenza di queste peculiarità ha portato la critica moderna a ritenere che questi monumenti siano opera di architetti locali, che la tradizione critica ha comunemente indicato con il nome di “Maestro”. Ritroviamo così nella storia dell’arte sarda un Maestro di San Gavino, un Maestro di Ardara e, per alcuni studiosi, anche un Maestro di Silanòs, dal nome degli edifici in cui il loro genio ha trovato massima espressione. Nonostante le figure di questi Maestri rimangano ancora oggi avvolte nel mistero, è indubbio che l’architettura romanico-pisana ha raggiunto in Sardegna alcuni caratteri di originalità legati al substrato culturale locale, derivante da una secolare tradizione di dominazione straniera. Per comprendere meglio il fermento culturale di questo periodo dobbiamo immaginarci delle maestranze straniere itineranti che nei cantieri sardi entrarono in contatto con la manodopera locale, instaurando con quest’ultima una sorta di simbiosi con conseguente scambio delle rispettive conoscenze. È infatti impensabile che questi artisti siano rimasti del tutto estranei alla tradizione locale, anzi è molto probabile che questi tratti di originalità siano da ricollegare alla tradizione paleocristiana, ben rappresentata dal San Saturnino a Cagliari, o siano dovuti ad una sorta di sincretismo tra gusto francese e gusto pisano. Le chiese che siamo abituati a vedere nelle nostre campagne o nei nostri paesi dunque rappresentano, ancora oggi, insieme ai nuraghi, uno dei caratteri più forti e indelebili del paesaggio sardo. Nonostante siano spesso di piccole dimensioni, esse testimoniano una civiltà, quella giudicale, che si è consegnata alla storia, al pari di quella nuragica, come una civiltà monumentale, di pietra. Una civiltà che è nostro dovere ricordare, salvaguardare e valorizzare perché può ancora oggi essere occasione di crescita e di riscatto sociale e culturale. Il patrimonio romanico sardo, infatti, se valorizzato opportunamente può essere una carta vincente per la nostra economia, dando la possibilità di elaborare un’offerta turistica a tema che può rivelarsi un’opportunità concreta di sviluppo per quei territori in cui esiste un monumento romanico. Perché ciò avvenga è necessario che tutti facciano la loro parte: gli organismi istituzionali competenti devono impegnarsi a intraprendere una seria politica di salvaguardia e valorizzazione di questi monumenti, creando i presupposti per avviare una gestione adeguata di questi beni affinché possano essere resi fruibili ai visitatori. La politica però non può essere lasciata sola, ma deve essere accompagnata e coadiuvata dai cittadini che devono essere resi consapevoli del valore del proprio patrimonio e dell’opportunità di miglioramento che esso costituisce per la loro comunità. Al fine di diffondere a più livelli la conoscenza di quest’importante patrimonio opera da poco più di un anno l’Associazione “Amici del Romanico”, nata a seguito del progetto ITERR-COST- ITinerari e Rete del Romanico in Corsica, Sardegna, Toscana, finanziato sul Programma di cooperazione transfrontaliera Italia-Francia marittimo 2007-2013. Le attività dell’Associazione, supportate sempre dal punto di vista scientifico dai due Atenei di Cagliari e Sassari, sono infatti rivolte a promuovere nei sardi la consapevolezza del valore della propria storia e del proprio patrimonio storico-artistico. Solo un sardo consapevole della propria identità infatti può essere fautore di una brillante politica promozionale del proprio patrimonio così da creare un’offerta turistica appetibile e competitiva. Per questo l’Associazione è convinta che il primo responsabile del bene romanico sia proprio la comunità di cui questo bene è parte integrante. Allo scopo di rendere il singolo cittadino consapevole del proprio patrimonio, l’Associazione è impegnata nella creazione dei “Presidi Territoriali del Romanico”, chiamati a vigilare sul monumento e a proporre attività e iniziative per la sua promozione. Quella dei “Presidi” è l’ultima iniziativa in ordine di tempo messa in campo dall’Associazione, che nel corso del 2013 è stata impegnata su più fronti sempre con l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini e di promuovere i monumenti romanici: gli itinerari tematici, la guida turistica delle chiese romaniche sarde, che verrà pubblicata nei primi mesi del 2014 e la cui realizzazione è stata resa possibile grazie a un contributo della Fondazione Banco di Sardegna, il progetto “L’Isola del Romanico”, destinato alle scuole sarde di ogni ordine e grado, sono solo i primi passi di un Associazione che ha tutta l’intenzione di diventare un punto di riferimento per la salvaguardia e valorizzazione del nostro importante patrimonio romanico. L’Associazione è aperta a tutti e chiunque voglia dare il proprio contributo alle attività o voglia semplicemente ricevere informazioni può consultare la pagina facebook dedicata o mandare un’e-mail all’indirizzo amicidelromanico@gmail.com. *Laureata e Specializzata in Conservazione de Beni Culturali |
A parte il fatto che la chiesa di san saturnino NON rappresenta affatto la tradizione paleocristiana mi aspettavo, alla fine dell’articolo, un cenno a Roberto Coroneo. State portando avanti il suo lavoro, senza di lui non sapreste nemmeno immaginarli i collegamenti tra sardegna, toscana, corsica etc etc. Iniziative come queste sono importanti e meritevoli, certo, ma non si dovrebbe parlare come se si stesse scoprendo un mondo sconosciuto ed inesplorato.
è ,Giuseppina,sicuramente la testimonianza che i giovani possono fare la differenza.E’ grazie a giovani come lei che possiamo sperare per la nostra Isola un futuro diverso da quello che gli ultimi invasori hanno cercato di cancella re ( senza riuscirci) .Ci hanno descritto “pocos,locos e malunidos”…..ma così come le nostre chiese Romaniche continuano a testimoniare il Rinascimento Sardo,Giuseppina testimonia che siamo “Molti,preparati e uniti”