Demagogia e Costituzione nell’era d.C. [di Paolo Favilli]

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Il manifesto 21 maggio 2016. Il Presidente del Consiglio l’11 aprile scorso ha aperto la campagna elettorale sul referendum costituzionale annunciando che, per vincere, è disposto ad «usare anche argomenti demagogici». Un annuncio senza novità, la «demagogia», largamente coniugata alla forma «cialtronismo», è stata la cifra della sua comunicazione politica (propaganda) fin dai tempi della Leopolda.

Il «cialtronismo» è elemento fluidificante della «demagogia». In un contesto frutto di una coltivazione quasi trentennale di plebeismo, il «cialtronismo» può passare come aspetto disinvolto, popolare della comunicazione politica. Renzi può citare male e fuori contesto Chesterston, attribuire a Borges versi non suoi, attribuirsi una compartecipazione al traforo del Gottardo ignorandone persino la localizzazione (le televisioni svizzere si sono indignate e/o divertite; quelle italiane hanno sorvolato), ecc,.

E’ la continuità con Berlusconi, completa: ambedue demagoghi ed ignoranti, e di un’ignoranza di cui non hanno né coscienza né consapevolezza, hanno trasformato tale loro condizione in punto di forza. D’altra parte la «demagogia» si manifesta in maniera più persuasiva se può scaturire da una base «naturale». Sottovalutare le possibilità d’incidenza del connubio cialtronismo-demagogia nello scontro sul referendum costituzionale sarebbe un grave errore. Così come sarebbe un errore pensare al meccanismo propagandistico renziano solo come una sorta di fenomeno di superficie al di sotto della quale ci sarebbe il vuoto.

Al di sotto, invece, c’è una struttura materiale dura: la logica e la realtà evocate nel 2010 da Marchionne quando ha dichiarato: «Io vivo nell’epoca dopo Cristo; tutto ciò che è avvenuto prima di Cristo non mi riguarda e non mi interessa».

Nel tornante del secolo per Marchionne si è verificato il passaggio, a suo parere definitivo, tra la centralità del lavoro, la tensione verso l’uguaglianza, secondo Costituzione, alla riduzione dell’umana forza-lavoro a pura funzione del capitale. Renzi è totalmente interno a tale dimensione dei rapporti economico-sociali che reputa naturali, esattamente come la sua antropologia culturale. Per questo, con tutta naturalità appunto, ringrazia ripetutamente il padrone globalizzato per la generosità con cui porta occupazione in Italia, mentre redarguisce severamente «certi sindacalisti» che, difendendo i diritti del lavoro, impediscono lo svolgimento della logica di mercato coincidente con la benevolenza padronale.

«Cevital…Merci», si può leggere in un manifesto apparso a Piombino, in una delle città italiane, cioè, dove per quasi un secolo la coscienza di classe è stata elemento essenziale della crescita civile. Cevital è la multinazionale del magnate algerino Issad Rebrab che investirà a Piombino nel settore siderurgico. Dunque un benefattore e bisogna ringraziarlo. Ed infatti, come è visibile in una foto celebrativa dell’evento, festeggiano il benefattore, eletto a «personaggio dell’anno 2015» da un giornale locale, i maggiorenti toscani del Pd, del governo nazionale e del territorio. Una posizione tanto più forte in quanto non frutto di quella che, del tutto impropriamente, viene chiamata «mutazione genetica» renziana.

Ricordiamo perfettamente Massimo D’Alema che nel luglio 2012, confrontandosi davanti a Montecitorio con un picchetto di operai Irisbus, diceva: «Non serve a nulla… tutto questo non serve a nulla … se lo mandiamo affanc…quello chiude e non lo vediamo più».

Ebbene la Costituzione, nello spirito e nella lettera, si pone in una dimensione antitetica rispetto al complesso dei rapporti sociali sotteso ai pronunciamenti di Renzi, D’Alema, e del ceto politico Pd di ogni livello. Del resto l’attacco alla Costituzione, il suo svuotamento, la sua continua manomissione proprio per questa sua incompatibilità con tutte le forme dell’ordo-liberalismo, non è certo cominciato con la riforma Boschi-Verdini, bensì con l’accettazione di fatto e di diritto (costituzionalizzazione del Fiscal compact) di un ordine europeo le cui normative confliggono con il documento fondante della Repubblica.

Si comprenderà, dunque, come la «ditta», ora «sinistra» Pd, che tale processo o ha promosso, o ha accettato, non possa ora opporvisi sulle questioni di fondo. I suoi residui esponenti se ne stanno nell’ombra e attendono (non si sa bene chi e che cosa) mentre pigolano sempre più piano.

Proprio nei giorni scorsi il neo ministro allo Sviluppo economico, fortemente voluto da Renzi, ha chiarito in maniera esemplare il nodo centrale della riforma Boschi-Verdini. Ha sostenuto che gli accordi di libero scambio Ttip e Ceta «sono fondamentali» (per chi?), per cui non si possono lasciare i parlamenti nazionali arbitri della loro approvazione. Dunque, ha concluso, «la governance deve essere ristrutturata sennò ammazzerà la nostra (?) politica commerciale» («Eunews» 13 maggio. I virgolettati sono nel testo).

La riforma costituzionale su cui voteremo a ottobre è tappa decisiva della ristrutturazione della governance su cui insistono da tempo i poteri dominanti internazionali. Renzi-Calenda dicono le stesse cose che un gigante della finanza globale come Jp Morgan Chase ha suggerito ai governi europei in un documento del 28 maggio 2013: liberatevi delle «Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione europea».

Questo è il punto centrale che demagogia e cialtronismo tenteranno di occultare. Questo è il punto centrale da rendere chiaro con tutti gli strumenti di demistificazione di demagogia e cialtronismo.

 

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