In guerra esistono solo delle versioni [di Federico Dessì]
La verità è la prima vittima della guerra. O meglio: in guerra la verità non esiste. Parafrasando Thomas Friedman, in guerra esistono solo delle versioni. Intorno al 20 ottobre tre gruppi armati d’opposizione lanciano un’offensiva contro Sadad e Mehin, due cittadine a sud del governatorato di Homs. L’attacco contro Sadad, una città di origini antiche e abitata da cristiani, doveva servire apparentemente da diversivo per prendere il controllo di un enorme deposito d’armi dell’esercito regolare attorno a Mehin. Ma alcuni giorni dopo la presa di Sadad, il regime riesce a riconquistarla e i combattenti d’opposizione si ritirano su Mehin.
Chiedo a un attivista siriano d’opposizione di spiegarmi cos’è successo e questa è la risposta: “I combattenti dell’esercito libero e di Jabhat al Nusra sono entrati a Sadad senza troppi problemi. Non hanno commesso né violenze né distruzioni, ma parte degli abitanti hanno avuto paura e sono fuggiti verso Homs. Il regime ha scatenato l’inferno pur di riprendere la città: i bombardamenti sono stati terribili, molte case sono state rase al suolo. Gli oppositori si sono dati da fare per curare sia i loro feriti, sia i feriti tra la popolazione civile; ma in pochi giorni ci sono stati decine di morti e più di 150 feriti. Le perdite erano troppe e hanno preferito ritirarsi.”
Un altro siriano, di religione cristiana e di posizione politica abbastanza neutrale, mi racconta una storia molto diversa: “Sono stato tra i primi a rientrare a Sadad dopo la riconquista dell’esercito regolare. Molte case erano state saccheggiate dai ribelli. Ho visto dei segni di vandalismo in quattro diverse chiese. Sono dei criminali!”.
Un secondo attivista aggiunge un particolare interessante: durante l’offensiva ci sarebbero state delle dispute tra un gruppo armato dell’Esercito Siriano Libero e Jabhat al Nusra: il primo avrebbe preteso il rispetto e la protezione dei civili, il secondo avrebbe richiesto l’esecuzione sul campo di tutti gli uomini adulti catturati in possesso di armi. Un terzo attivista, senza dare dettagli, riconosce che le truppe d’opposizione avrebbero massacrato decine di civili.
E i depositi d’armi? Negli ultimi giorni di ottobre, ne parlo con un operatore umanitario in contatto con vari gruppi d’opposizione:“Li hanno già conquistati, si stanno portando via le armi”.Trascorro un’ora a spulciare le pagine Facebook dell’opposizione, ma non trovo nessuna conferma della notizia. Due giorni dopo lui stesso lo ammette:“Stanno ancora combattendo, ma hanno accerchiato i depositi e dovrebbero impossessarsene a breve”. Un altro attivista mi spiega, sulla base di conoscenze vere o presunte, che in realtà a Mahin ci sono circa quaranta depositi separati: gli oppositori ne avrebbero già preso sette oppure otto, gli altri dovrebbero cadere presto.
Ancora due giorni e tutte le mie fonti si ritrovano improvvisamente d’accordo: l’opposizione ha conquistato i depositi. “Stanno trasferendo tutte le armi verso la regione del Qalamoun,” mi assicura l’operatore umanitario, “ci aspettiamo una serie di bombardamenti punitivi del regime nella zona.” Ma uno degli attivisti ha una versione più interessante: “I combattenti alla fine hanno deciso di non muovere le armi. Gli arsenali sono nascosti in bunker sotterranei a prova di bombardamento aereo. Il regime non ha modo di colpirli o stanarli. Per il momento, gli conviene restare lì.”
In tutto questo rompicapo, è impossibile sapere come sono andate davvero le cose. Chi ha mentito e chi ha detto la verità? Ha risposto una mia amica:“Forse hanno detto tutti la verità. Ma ognuno ne ha raccontato soltanto una parte.”Probabilmente ha ragione lei. Ed è solo ascoltando tutte le differenti opinioni e i vari punti di vista che possiamo vagamente farci un’idea di cosa sta succedendo in Siria…. *Esperto nel coordinamento di programmi umanitari, in Siria e il Vicino Oriente. Partecipa al progetto “Focus on Syria”. |