Su Sara di Pietrantonio e sull’uomo che l’ha uccisa [di Michela Murgia]
Abbiamo voluto riprendere questo intervento di Michela dal suo profilo FB rigraziandola per le parole che ha scritto e che condividiamo totalmente (NdR). In mezzo alle grida indignate dei giustizialisti del giorno dopo, a me l’ultima cosa che interessa è sapere se verrà dato l’ergastolo all’uomo che ha ucciso Sara di Pietrantonio. Molto più importante mi pare capire perché di uomini come quello in Italia ce ne siano migliaia e picchino, violentino o uccidano altrettante donne ogni anno. Lo sappiamo che le cause sono culturali. Lo sappiamo che Vincenzo Paduano non è un mostro, un folle, la vittima di un raptus, ma è il frutto di una cultura che costruisce e alimenta in tutti e in tutte noi l’idea che una donna sia una cosa (“sei mia/sono sua”) o una funzione (“la moglie/fidanzata/figlia/sorella/madre”), ma mai una persona dotata di autonomia. Sappiamo anche che quella cultura si chiama sessismo ed è fatta di tanti ingredienti, il primo dei quali è non vedere il problema. C’è un rifiuto da parte di molti ad accettare che il maschilismo esista e faccia ogni anno decine di morti. Negarlo però è un modo per continuare a pensare che quelle morti sono tutti raptus, tutti gesti inconsulti, tutte eccezioni, e non la norma di una mentalità che ci appartiene da secoli. Poi c’è la resistenza ai programmi scolastici di educazione contro gli stereotipi di genere: a dire cos’è un uomo, cos’è una donna, come è amore e come si dice addio si impara, ma in Europa i soli paesi che non lo insegnano sono l’Italia e la Grecia. Disastrosa è anche la leggenda che esista una “Famiglia Naturale” con ruoli maschili e femminili immutabili, e quindi guai a chi sottrae. Infine, ma non certo per importanza, c’è il vergognoso taglio dei fondi ai centri antiviolenza, gli unici luoghi dove le donne trovano consiglio e rifugio. Poi c’è il linguaggio, visibile persino nel modo in cui è stata data dai giornali la notizia della morte di Sara di Pietrantonio, continuamente definita “fidanzata” o “ex fidanzata”, cioè proprio la funzione relazionale a cui aveva voluto sottrarsi. Se è chiaro a tutti che la ragazza è morta perché non voleva più essere la fidanzata di Vincenzo Paduano, perché – maledetti giornalisti senza codice deontologico – continuate a definirla con il linguaggio della relazione da cui era uscita? Perché mettete la foto dell’assassino e della vittima insieme abbracciati? State realizzando il sogno dell’omicida: ricomporre nella morte la storia d’amore che non c’era più. In coda (o a monte?) c’è anche il resto, quello che meno vogliamo vedere. Accanto alla notizia dell’omicidio di Sara, ieri su un quotidiano on line c’era un boxino con la foto di una concorrente di Miss Italia misurata a mano col metro da un compiaciuto uomo-giudice. Non credo esista una migliore metafora per dire che l’esatta misura di come debba essere una donna in questo paese la vuol decidere sempre qualcun altro. Se permettiamo che il valore delle donne sia stabilito sul loro essere corpi, cose e funzioni, quel metro in mano ad altri potrà assumere tutte le forme che vuole. Persino quella di una bottiglia d’alcool. (No, non sto dicendo che il giudice di Miss Italia è un potenziale femminicida. Sto dicendo che alla base di ogni fenomeno sociale c’è un impianto simbolico dove tutto comincia. Fare finta di non vederlo lo conferma).
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