Antonio Gramsci e i comunisti nel carcere di Turi. La versione di Giorgio Amendola [di Franco Lo Piparo]
Corriere.it 03/06/2016. Dopo la pubblicazione di Gramsci in cella e in clinica. I paradossi di una prigionia (Corriere, 30 maggio) ho ricevuto diversi insulti in vari blog da parte di sedicenti gramsciani che mi piace chiamare gramsciani immaginari. Ho ricevuto anche molti consensi. Uno è stato inaspettato e, anche per questo, particolarmente gradito. Viene da molto lontano. Ne trascrivo qui le parti più importanti. «I rapporti di Gramsci con gli altri comunisti rinchiusi nel carcere di Turi erano resi difficili non solo dal carattere ombroso di Gramsci, ma anche dal fatto che egli poteva godere, per ragioni di salute, ed anche per considerazioni politiche certamente presenti nelle attenzioni delle autorità, di condizioni di relativo favore. Gramsci non accettava l’esasperato egualitarismo che regolava i rapporti tra i comunisti nei collettivi carcerari. Consapevole dell’importanza dell’opera che andava compiendo, egli difendeva gelosamente le condizioni che gli permettevano di portare avanti il suo lavoro». E ancora: «Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per venti anni“, avrebbe detto il pubblico ministero Isgrò, indicando in Gramsci l’uomo più pericoloso per la sopravvivenza del regime. Anche questa è una frase non documentata ufficialmente, che divenne poi leggenda operante nel movimento operaio». Queste parole, dicevo, vengono da molto lontano. L’autore è Giorgio Amendola. I brani citati si possono leggere alle pagine 142 e 182 della Storia del partito comunista italiano, pubblicata nel 1978 dagli Editori Riuniti. *Foto: Ecce homo di Antonio Amore
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